Tempi d'attesa e ricoveri: tra le Regioni cresce ancora il divario, soprattutto per i casi più gravi

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Dal confronto 2019–2023 sui ricoveri che hanno rispettato i tempi massimi di attesa emerge un'Italia sanitaria più diseguale, e lo diventa proprio dove la priorità è più alta. In un recente studio effettuato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma abbiamo misurato attraverso l'indice di Gini la diseguaglianza tra le Regioni italiane nella percentuale di rispetto dei tempi massimi di attesa per i ricoveri, in relazione a sette grandi aree chirurgiche (colon, colon in laparoscopia, mammella, ovaio, retto, retto in laparoscopia e utero) e a quattro categorie di urgenza che vanno dalla classe di priorità A (la più urgente) alla classe di priorità D (la meno urgente), usando come variabile la percentuale di ricoveri effettuati entro il tempo massimo (fonte: Portale statistico Agenas).

L'indice di Gini è lo strumento statistico principale per misurare la diseguaglianza (utilizzato ad esempio dall'Ocse e dalla World Bank per la diseguaglianza dei redditi), e va da 0 nel caso di perfetta eguaglianza (nel nostro caso se tutte le Regioni garantiscono la stessa performance soddisfacendo le esigenze di ricovero con la medesima tempistica) e cresce fino ad un massimo di 1 quanto più le prestazioni divergono; quando l'indice aumenta, significa che il rispetto degli standard dipende in misura crescente dalla Regione di residenza. Il quadro che si compone è nitido: la forbice si è aperta quasi ovunque, con un peggioramento particolarmente marcato nelle classi A e B di urgenza, cioè proprio in quei casi che richiedono la risposta più rapida. In effetti, nel 2023, rispetto al 2019, per la classe di priorità A la diseguaglianza cresce in sei patologie sulle sette considerate. In particolare l'incremento è impressionante per gli interventi al retto che passano da una situazione di sostanziale eguaglianza tra le Regioni (0.091) a 0.393 registrando un aumento di +0,302. L'aumento è significativo anche per gli interventi al retto in laparoscopia (+0,051), quelli all'utero (+0,044), all'ovaio (+0,027), alla mammella (+0,022) e al colon (+0,016), con una sola eccezione in controtendenza (colon in laparoscopia, circa −0,026).

Ancora più chiaro il segnale nella classe di priorità B, dove la diseguaglianza nel soddisfacimento dei tempi massimi di ricovero peggiora per tutte e sette le patologie. Spiccano in partivolare il retto (+0,069) e il retto in laparoscopia (+0,051), ma aumenti si registrano anche per il colon (+0,031), la mammella (+0,012) e l'utero (+0,011), mentre colon in laparoscopia e ovaio segnano variazioni minime, ma pur sempre positive. Nei livelli meno urgenti il disegno è più sfumato, e tuttavia non rassicurante: nella classe di priorità C la diseguauglianza peggiora per il colon ( +0,10) e per la mammella ( +0,033), a fronte di piccoli miglioramenti per il retto (−0,057), l'utero (−0,015), il retto in laparoscopia (−0,006) e l'ovaio (−0,004). Nella classe di priorità D, infine, gli scostamenti sono in genere marginali, eppure la mammella mostra un +0,062 e il colon un lieve aumento (+0,0004), con molte voci che non registrano variazioni.

Si può discutere delle cause. Tra queste vanno sicuramente annoverate l'onda lunga della pandemia che ha rimescolato agende e capacità operatoria, ma anche i diversi tempi di recupero, la variabilità nell'adozione delle liste di priorità e dei percorsi di day surgery, la diversa attitudine a ricorrere alla mobilità intra- e inter-regionale per non lasciare indietro le classi più urgenti. Ma il punto di policy è un altro, ed è semplice: quattro anni dopo l'ante-pandemia la prossimità, da sola, non basta; gli standard esistono, ma per essere diritti esigibili devono essere protetti proprio dove il tempo è parte della terapia. Questo significa agende dedicate e vincolate per le classi di priorità A e B, con slot salvaguardati e monitoraggio settimanale dei superamenti; significa capacità chirurgica flessibile, con estensioni serali o nel fine settimana e pooling di équipe quando i colli di bottiglia si concentrano su determinate specialità; significa trasparenza radicale dei risultati per Regione e per struttura, in modo che i cittadini possano conoscere in anticipo con che probabilità potranno essere trattati nei tempi previsti ed i decisori possano intervenire dove gli scostamenti fossero sistematici e ripetuti. L'indice di Gini, va ricordato, non dice quale Regione vada meglio o peggio, ma quanto la mappa nazionale si sia “sfilacciata”. Esso non sostituisce, pertanto, gli indicatori di esito né la misura assoluta delle prestazioni erogate, ma intercetta un fenomeno cruciale per l'equità, cioè la coerenza territoriale nell'applicare la stessa regola del gioco. È dunque uno strumento prezioso per la governance: se la diseguaglianza cresce nelle classi di priorità A e B, come i dati mostrano, l'allerta deve scattare prima che i differenziali di tempo si trasformino in differenziali di esito.

Altrettanto importante è mettere in sicurezza i meccanismi di presa in carico proattiva, assicurando che i percorsi ad alta priorità siano protetti lungo l'intera traiettoria del paziente, dall'indicazione alla programmazione fino al ricovero. La disciplina delle categorie di urgenza ha senso solo se sostenuta da capacità, da regole chiare di reindirizzo e da una regia che aiuti chi è in difficoltà ad acquistare prestazioni dove serve. Lo dicono i numeri, ma lo suggerisce anche il buon senso: senza un governo forte della priorità e senza una contabilità trasparente del tempo, la sanità di prossimità rischia di essere un obiettivo proclamato e non realizzato. L'Italia dispone di competenze cliniche, gestionali e digitali per invertire la tendenza: occorre usarle con coerenza, per riportare il calendario delle sale operatorie sotto il dominio della programmazione e non dell'emergenza. Se il periodo dal 2019 al 2023 ci consegna un Paese più diseguale nei tempi quando conta di più, il futuro dovrebbe trasformare la misurazione in azione: meno diseguaglianza, più tutela della priorità, e maggiore fiducia per i cittadini i quali chiedono, a giusta ragione, che il diritto al tempo non dipenda dall'indirizzo di casa.

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