Il leggendario batterista torna a luglio in Italia con il suo show 'Police Deranged For Orchestra' con il quale smonta e ricompone i grandi classici della band. Con lui superband di musicisti italiani. "Sting? Ho capito che è un genio ma non diteglielo"
Non è un'operazione nostalgia. Né un tributo in chiave sinfonica. Con 'Police Deranged For Orchestra', Stewart Copeland smonta e ricostruisce l’universo sonoro dei Police con la precisione di un compositore e la visione di un architetto del ritmo. Lontano dalle formule del revival, il leggendario batterista rilegge le strutture dei brani che hanno segnato un’epoca - da ‘Roxanne’ a ‘Message in a Bottle’ - portandoli in una nuova dimensione orchestrale, densa, energica, del tutto inedita. Il progetto, nato quasi per caso, mentre lavorava alla colonna sonora di un film sulla band che ha contribuito a rivoluzionare la musica degli anni ’80, ha preso la forma di un concerto sinfonico capace di restituire, con nuovi suoni e dinamiche, la tensione creativa di chi ha saputo fondere punk, reggae e pop con intellettuale ferocia.
Oggi, quelle canzoni tornano con un nuovo tour estivo che farà tappa in Italia a luglio (il 23 a Villafranca di Verona, il 25 a La Spezia, il 27 a Roma e il 29 a Foggia). Accompagnato da una super band di musicisti italiani, come Gianni Rojatti alla chitarra, Faso, noto per il suo lavoro con Elio e le Storie Tese al basso, e Vittorio Cosma, anch’egli membro di Elio e le Storie Tese e The Producers, al piano, oltre a un’orchestra di 27 elementi, Copeland torna sul palco non per celebrare il passato ma per reinventarlo. Alla vigilia del tour, l’AdnKronos ha incontrato Copeland per parlare di riscrittura, di memoria sonora e di quella libertà creativa che ancora oggi lo rende un artista in costante movimento.
'Police Deranged For Orchestra' è un progetto davvero unico. Come è nata l'idea di reimmaginare le canzoni dei Police in formato orchestrale?
"Per anni ho fatto concerti con l'orchestra, musica per film, giochi e cose varie, e di tanto in tanto suonavo una canzone 'oscura' dei Police, strumentale, e la risposta era sempre così grande che i miei manager continuavano a dirmi: 'Senti, fai le hit, fai le hit'. E io rispondevo: no. Alla fine ho detto ok. Perché mi sono ricordato che avevo degli arrangiamenti speciali fatti per il mio film in Super 8 intitolato ‘Everyone Stares’, dove avevo tagliato la musica dei Police per adattarla al film. Quegli arrangiamenti erano molto belli. Ho usato molto materiale dal vivo e un sacco di idee diverse provenienti da luoghi diversi, come assoli di chitarra perduti dalle registrazioni. E così, quando ho accettato di fare le versioni orchestrali, sono andato a vedere quegli 'stravolgimenti', quelle versioni delle canzoni. E si possono sentire tutti gli elementi familiari dei successi dei Police. Ma c'è anche del nuovo materiale interessante. E le novità sono molto Police perché provengono dai Police che suonano dal vivo sul palco, dalle jam che facevamo".
Hai detto che questo progetto è nato come parte della colonna sonora di un film. Come descriveresti l'esperienza di fondere rock, musica orchestrale e cinema in un'unica esperienza e performance dal vivo?
"Beh, l'orchestra è lo strumento più versatile sul palco. Può fare qualsiasi cosa. Può rombare come un tuono. Può suonare con grande bellezza. Può immergersi nelle emozioni più profonde. Può essere molto debole e struggente. Può fare tutto. Quindi, il rock and roll è facile per un'orchestra, soprattutto quando ci sono io a suonare. Questo lo rende rock. E per queste canzoni, abbiamo le tre soul sisters che cantano le canzoni, quei grandi arrangiamenti vocali che Sting faceva ai tempi. È un mondo diverso. Loro si avvicinano alla musica con gli occhi, mentre i musicisti rock lo fanno con le orecchie. A un musicista rock non si dice esattamente cosa suonare. Gli si dice solo qual è l'accordo, gli si canta il riff e lui lo prende da lì. Mentre gli orchestrali si collegano con l'occhio. Vogliono vederlo sulla pagina. Vogliono vedere ogni sfumatura sulla pagina. Bisogna mettere i colori in italiano sulla pagina: tenuto, fortissimo, crescendo, tutte queste cose. Bisogna mettere quell'inchiostro sulla pagina, in modo da dire loro non solo cosa suonare ma come suonarlo. Il motivo è che sono in 50 e non vedono le parti degli altri. Il flautista non ha idea di cosa stia facendo il trombone. Nella sua partitura c'è solo il flauto. Ma sa che se obbedisce alla pagina e fa tutto nel dettaglio che c'è sulla pagina, qualsiasi cosa il trombonista stia facendo, si legheranno e saranno una bellissima orchestra".
E qual è stata la sfida più grande nel trasformare canzoni come 'Roxanne', 'Don't Stand So Close to Me', in brani sinfonici?
"Beh, la considererei più un'opportunità che una sfida. Un paio di punti mi hanno dato dei grattacapo. 'Roxanne' è probabilmente la meno equilibrata delle canzoni, perché eravamo soliti fare lunghe improvvisazioni sul palco, ed è da lì che proviene gran parte di questo arrangiamento, da quelle improvvisazioni sul palco. E' una questione di struttura, in realtà. Andy, con la sua chitarra, aveva un grande vocabolario armonico. Quindi l'armonia, gli accordi, sono un ottimo punto di partenza per l'orchestrazione".
Hai lavorato con diversi musicisti italiani per questo progetto, com'è stato collaborare con loro?
"Come ho detto, vengo in Italia quasi ogni estate. Farei qualsiasi cosa per la pasta (scherza, ndr). A volte suono con una rock band chiamata Gizmo. A volte suono con una piccola orchestra come questa. A volte vado in Puglia a suonare alla Notte Della Taranta. Insomma, ogni scusa è buona per venire qui d'estate. Vittorio e io facciamo musica insieme da decenni. Faso è un amico recente, e scusa Elio, ma prendo in prestito i tuoi musicisti (scherza ancora, ndr). Gianni Rojatti, che ha suonato in questo spettacolo ovunque in Europa, con me, è presente. E' una lunga amicizia che va avanti".
C'è stato un brano dei Police che ti ha rivelato qualcosa di completamente nuovo durante la lavorazione dello spettacolo?
"Tutte le parole, letteralmente. Ogni brano dei Police. Perché non ho mai ascoltato le parole. Io sono un batterista, faccio casino mentre qualcuno davanti al palco grida qualcosa. E quando ho fatto gli arrangiamenti delle canzoni, è stata la prima volta che ho guardato le parole. Che poeta. Sono cose molto intelligenti. Ho dovuto ammettere in cuor mio, con grande difficoltà, che quell'uomo (Sting, ndr) è un fottuto genio. Ma non ditegli che l'ho detto".
Sei in parte punk, in parte direttore d'orchestra, in parte, potremmo dire, scienziato pazzo. Quando ti siedi alla batteria ora, cosa insegui?
"Quando sono lì non penso. Il mio cervello non funziona in quel momento. È istinto, è una vibrazione. Ecco perché non ascolto i testi. Il compositore, l'arrangiatore, è un ruolo diverso da quello del batterista. E’ come se ci fossero due lobi diversi del cervello, che compongono e arrangiano la musica, l'orchestrazione. Lì sono seduto alla mia scrivania, molto calmo, molto concentrato. È un esercizio molto intellettuale. Quando suono alla batteria sono un gorilla argentato di 300 chili che dondola tra gli alberi. In realtà, con l'orchestra devo ridurre un po' il volume della batteria. Quindi ho bisogno di un po' di civiltà, non molta, ma un po' di civiltà in più quando suono con un'orchestra di lusso".
Guardando al tuo percorso con i Police e oltre, che cosa ti entusiasma di più della musica di oggi?
"Comporre musica è un esercizio bellissimo. Ora scrivo prosa, che è un lavoro molto più difficile. Ma quando creo musica, ci sono due fasi: una, quando penso alla melodia, al riff e li butto giù. Poi la seconda fase, quella in cui orchestro, che è molto più difficile o molto più impegnativa. Ci vuole molta più concentrazione. Mi fa più male il cervello alla fine di una giornata di orchestrazione che dopo una giornata di composizione e di batteria".
Sei ancora in contatto con Sting e Andy, vi sentite?
"Oh, sì, assolutamente. Ci mandiamo a vicenda stupidi filmati su Instagram. Per lo più di strane versioni di canzoni dei Police. È la nostra gag preferita".
Pensi che potrebbero venire a vedere una delle date del tour quest'estate in Italia?
"Sì, abbiamo suonato a Firenze un paio di anni fa e (Sting, ndr) lo abbiamo mancato per due giorni. Sarebbe stato sicuramente presente".
In generale, guardando alla scena musicale, quest'anno molti artisti che avevano detto “mai più” si stanno riunendo, come gli Oasis, i Black Sabbath e altre band. Voi, dopo la fine dei Police, avete fatto una reunion nel 2007. Cosa ne pensi del fatto di tornare insieme sul palco dopo tanti anni?
"Lo consiglio vivamente. Perché presumibilmente il motivo per cui si torna insieme è che si è fatto qualcosa di importante anni fa. E il motivo per cui hanno smesso di fare cose insieme, probabilmente è stato a causa di alcuni problemi sociali, di qualche conflitto o altro. Quando abbiamo fatto la nostra reunion dei Police abbiamo riscoperto la nostra prima amicizia e sentiamo che abbiamo finito il lavoro, che abbiamo risolto tutto. È stata una sensazione molto bella. Un'altra cosa che consiglio è fare terapia di gruppo, che ha funzionato. Con un arbitro abbiamo detto tutto quello che c'era da dire e improvvisamente ci siamo capiti molto meglio. E siamo stati molto contenti di averlo fatto. È una buona cosa. Lo consiglio. Alcune persone non vogliono guardare indietro. E la cura è andare avanti, fare cose nuove. Se fai un sacco di roba nuova, non devi sentirti in colpa di guardare indietro, perché quelle canzoni hanno un enorme impatto emotivo. Quando suoniamo ‘Message in a Bottle’ o ‘Every Breath You Take’, l'impatto è molto forte. Prendiamo Paul McCartney, ad esempio. È ancora un grande autore. Ma quando vai a vedere Paul McCartney, la canzone dei Beatles, ‘Light Up Your Heart’, ti riporta lì. La sua nuova canzone, con un testo intelligente, una grande melodia, accordi interessanti, è una grande canzone. Ma non ha lo stesso impatto emotivo perché i brani vecchi hanno un bagaglio emotivo. Hanno una storia e un impatto maggiore, quindi più forte. Per i Black Sabbath, quando le loro hit suonano hanno più potere di qualsiasi altra cosa nuova che potranno mai fare".
Ti piacerebbe tornare sul palco con Sting e Andy, per fare anche un solo concerto?
"Certo, ma non succederà. O meglio, direi che c'è una possibilità su un miliardo che accada. Una speranza c'è. Penso che potrei sopravvivere due ore di concerto. Ma il problema è che andiamo molto d'accordo a livello personale, finché non suoniamo insieme. E non voglio rovinare tutto. A ogni modo, io sto suonando quelle canzoni e anche Andy e Sting. Ci stiamo tutti divertendo molto con quei brani. Solo che non dobbiamo farlo nella stessa stanza".
Considerando tutto ciò che sta accadendo nel mondo oggi, con le guerre e le tensioni politiche internazionali, pensi che i musicisti dovrebbero impegnarsi di più per usare la loro voce e parlare di queste situazioni?
"Non so in Italia, ma in America quando le star del cinema prendono il microfono, uccidono il candidato che stanno cercando di sostenere. Non c'è niente che uccida un candidato più di George Clooney al microfono. Io amo George Clooney e sostengo i candidati che sostiene lui. Ma questo non aiuta le persone là fuori. Agli elettori non importa nulla di quello che penso io o George Clooney. Ci sono artisti come Bob Dylan che lo fanno ma non io". (di Federica Mochi)