Sara Trentini: "Il Mondiale Trial? Lo volevo vincere da quando avevo 4 anni"

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Sara Trentini ripercorre la stagione che l’ha portata al vertice della Trial2 Women 2025. Dalla finale in UK alla lettura delle zone, dalla scelta di montare un con volano più pesante, fino a Ride&Flow, per coniugare trial e yoga: tecnica e lavoro sul corpo per far crescere la base. Atleta, donna affascinante, mamma e imprenditrice

Valerio Boni

11 settembre - 08:42 - MILANO

C’è un punto in cui lo sport smette di essere la somma di gesti e diventa linguaggio. Nel 2025, in Trial2 Women, quel linguaggio ha la voce di Sara Trentini: equilibrio, controllo, scelte lucide sotto pressione. Con la stessa concretezza e con altri punti in comune che hanno reso popolare Dorothea Wierer nel biathlon. Uno sport “minore” che richiede dedizione, risultati, metodo e capacità di raccontare il proprio progetto con semplicità, portando pubblico nuovo dentro una disciplina tecnica. Il suo “giorno dopo” non è una passerella, è una pagina di lavoro con appunti su pressioni gomme, frizione e linee possibili. Il giorno dopo la conquista del titolo? "No, niente di particolare: il giorno seguente è stato un giorno come gli altri. Forse perché me lo aspettavo, sapevo che prima o poi ce l’avrei fatta -  racconta -. Ho un ricordo di me a quattro anni che dico che voglio vincere il Mondiale di trial. Per un po’ avevo abbandonato le gare; quando sono risalita in moto ho capito di essere diventata più forte. L’ho fatto per me: non dovevo dimostrare niente a nessuno".

il margine non basta mai

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Arrivare alla finale britannica con un vantaggio aiuta, ma non basta. Il trial concede e toglie con la stessa rapidità: "Quando è l’ultima gara è meglio essere davanti, anche se la tensione si sente", spiega. La matematica non è mai accessoria: "Nel trial ogni giorno sono disponibili 20 punti a giro, quindi 80 per weekend: il margine c’era, ma non abbastanza per amministrare. Dopo la prima giornata il vantaggio è salito e ho capito che il Mondiale poteva essere mio. Mi sarebbe piaciuto chiudere con una vittoria, ma va bene così". La sua gestione è da debrief continuo: respirazione, visualizzazione delle zone, e via il superfluo, perché il vero segreto è togliere rumore fino a lasciare solo ciò che aiuta a decidere.

una gara per due

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Il lavoro con il "minder" Valter è una liturgia condivisa: osservare, scegliere, confermare. "Definiamo la linea che più si adatta al mio modo di guidare e tendiamo a non cambiare. Anche nel secondo giro cerco di passare negli stessi punti. Il mio stile non è quello di ultimissima generazione: sposto poco la moto di lato e di certo non scelgo un passaggio solo perché qualcun’altra è passata di lì". Primo giro come mappa dei rischi — grip reale contro grip percepito, tempi, punti a zero realistici — e secondo giro come sintesi: linee più pulite, frizione più corta dove serve, quel “piede intelligente” che salva dall’errore grosso quando l’aritmetica della gara lo impone. "Io non tengo il conto delle penalità, lo fa Valter, che sa tutto. Decidiamo insieme se c’è margine per tentare lo zero prendendo un rischio, oppure poggiare un piede di sicurezza".

scelte di ieri

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La tecnica non è feticismo, è funzionalità. Pochi interventi, mirati: sospensioni a punto, tarate su misura per il suo peso e soprattutto un volano più pesante: una soluzione "di una volta", quando le trial avevano gran tiro ai bassi e si usava meno la frizione, puntando sull’erogazione. "Il mio stile è d’altri tempi, però evidentemente funziona". La coerenza tra set-up e stile riduce la fatica mentale e libera la mente per la lettura fine delle zone: spostare l’attenzione dal mezzo al modo in cui lo conduci.

allenamento fuori casa 

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Anche dove ci si allena costruisce il pilota. L’area di casa, il Borilli Park di Pietramurata, è una palestra che non perdona: pietre smosse, misto terra-roccia, asciutto e umido nella stessa mezza giornata. "In questo sono stata avvantaggiata: mi basta uscire di casa per allenarmi, senza organizzare trasporti. Il Borilli Park è a Pietramurata, e il nome dice già molto del terreno. Le pietre smosse sono ovunque: è su questo che mi sono formata e su cui posso fare la differenza". Qui Sara ha sviluppato anticipo di sguardo e gestione dell’inerzia: sentire quando l’avantreno “galleggia” e reclama un’energia diversa dal corpo, capire prima dove la trazione finirà e scegliere la linea con un margine di sicurezza.

un papà a tre ruote

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Dentro la sua storia sportiva c’è anche un capitolo di famiglia che profuma d’archivio e coraggio: il sidecartrial degli anni Ottanta (quando questa variante era diffusa nel nord Europa, e c'era anche un campionato italiano). "Sono salita una volta sul sidecar con cui correva mio padre. Ho provato sia a guidare sia a fare il passeggero, ma solo in un piazzale, senza ostacoli. È difficile immaginare come superassero gradini e muri… eppure le foto sono impressionanti. Quella che mi ha colpito di più è a Monza, sulla curva sopraelevata: erano nella parte alta, e il passeggero, cioè mio papà, teneva il carrozzino attaccato al terreno sfidando la gravità". È il passato che spiega un presente: l’idea che il controllo nasca dalla fiducia e dalla condivisione di un equilibrio, non dall’azzardo.

buon sangue non mente

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L’identità di atleta convive con quella di mamma senza chiederle sconti. Le settimane sono un incastro onesto: allenamenti, impegni di famiglia, momenti dedicati all’impresa. "È salito in moto a un anno e mezzo e adesso fa cose incredibili, che nemmeno io riesco a fare", dice di Sebastian, sei anni. Difficile pensare che potesse non essere attratto dalla due ruote: la mamma è diventata la numero 1 nel Trial2 femminile, il papà, Alex Salvini, è stato campione del mondo di enduro nel 2013. "Ma le opzioni non sono solo enduro, trial o cross (a fianco del “park” di famiglia c’è anche una pista sulla quale si corre il mondiale di motorcross): ha uno zio (Elia Sammartin) del supermotard e al Borilli Park stiamo preparando anche una pista di kart. Deciderà lui, quando sarà il momento: per ora è un gioco che fa saltuariamente. Altre volte gioca a calcio… avrei preferito un figlio non attratto dal calcio, ma l’importante è che faccia sport". Qui l’eco della Wierer torna utile: comunicare una disciplina complessa senza pressioni sterili, rendendo la prima esperienza accessibile e piacevole è ciò che allarga davvero la base.

contaminazione yoga

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Questa stessa filosofia diventa progetto imprenditoriale con Ride&Flow, un format che unisce progressioni tecniche e lavoro sul corpo — respirazione, isometrie, propriocezione — per riportarle nella zona come stabilità e lucidità. Trial e yoga. "È un’idea nata con la mia amica — si chiama anche lei Sara — perché siamo convinte che la conoscenza del proprio corpo che lo yoga regala porti grandi benefici a chi pratica trial, ma non solo: in ogni disciplina motociclistica è fondamentale imparare a gestire il fisico. Avevamo programmato un primo evento a giugno, ma con la stagione così ho preferito concentrarmi sul Mondiale. Presto ci organizzeremo". L’obiettivo non è solo far crescere atlete forti, ma una base competente: open day, aree legali dove provare, istruttori formati, gruppi piccoli, progressioni realistiche, format pensati davvero per chi inizia.

fonti d'ispirazione

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I modelli raccontano una visione, più che un podio. "Come donna il mio riferimento è Laia Sanz, una forza della natura che si è misurata spesso ad armi pari con i maschi: eccezionale nel trial e bravissima alla Dakar. Tra gli uomini è impossibile non essere affascinati da Toni Bou. Ma se devo dire la verità, il pilota che ho ammirato di più è mio papà: l’ho visto emozionato e commosso quando sono rientrata dall’ultima gara in Gran Bretagna". Sul fronte tecnologico, il tema elettrico è nel suo radar ma senza slogan: lo affronterà con test dedicati e criteri di trasferibilità (erogazione, freno motore, massa, gestione frizione), perché anche qui la regola è una sola — valutare sul campo prima di giudicare.

multitasking

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In fondo, il suo 2025 è un manuale pratico di trial moderno: scegliere la propria linea invece di inseguire quella degli altri; semplificare decisioni complesse con routine robuste; allenare la testa quanto le mani; usare la tecnica per aprire il movimento e non per alzare muri. Atleta, donna, mamma, imprenditrice: ruoli che si sommano, non si annullano. Le vittorie passano, il metodo resta: è lì che Sara Trentini ha già messo il prossimo mattone — con la stessa chiarezza con cui Dorothea Wierer ha portato il biathlon fuori dallo stadio, parlando semplice, senza banalizzare.

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