Invece di forzare l’ingresso dei farmaci nel cervello, gli scienziati hanno rafforzato il sistema di eliminazione dei rifiuti per far regredire la malattia
16 ottobre 2025
Per decenni la ricerca sull’Alzheimer ha cercato di eliminare le placche tossiche che soffocano i neuroni, con risultati limitati. Ma un nuovo studio, pubblicato su Signal Transduction and Targeted Therapy, suggerisce che forse la chiave non è distruggere le placche dall’interno del cervello, bensì riparare il sistema che dovrebbe eliminarle naturalmente: la barriera ematoencefalica.
Questa sottile interfaccia di cellule separa il cervello dal sangue, impedendo il passaggio di tossine e microrganismi, ma anche di molti farmaci. Negli anni, gli scienziati hanno cercato di “forzarla” con onde sonore o nanoparticelle per far entrare i medicinali. Il gruppo guidato da Giuseppe Battaglia (Ibec, Barcellona) e Junyang Chen (Università del Sichuan) ha invece scelto la strada opposta: ripararla.
Una barriera che non solo protegge, ma pulisce
La barriera ematoencefalica non è un muro, ma un filtro dinamico. Una delle sue funzioni principali è eliminare dal cervello le proteine di scarto, tra cui la famigerata beta-amiloide, il principale “rifiuto” associato all’Alzheimer. Quando la barriera si danneggia o invecchia, questo sistema di smaltimento rallenta e i rifiuti si accumulano, favorendo la neurodegenerazione.
Il team ha scoperto che un recettore chiave, chiamato Lrp1, funziona come un “traghettatore” molecolare che riconosce e trasporta l’amiloide dal cervello al sangue. Con l’età o nella malattia, Lrp1 si riduce e la pulizia si blocca.
Le nanoparticelle che riavviano il sistema
Gli scienziati hanno progettato nanoparticelle bioattive – vere e proprie “medicine supramolecolari” – capaci di imitare Lrp1 e di ristabilire il flusso di eliminazione dell’amiloide. Iniettate in topi geneticamente predisposti all’Alzheimer, queste particelle hanno ridotto le placche cerebrali di circa il 50% in un’ora e del 45% complessivo dopo tre dosi.