Rigobert Song, leggenda del Camerun: "Io, Gattuso, Mandela e l’Africa del calcio che avanza"

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L'ex difensore ha giocato anche alla Salernitana con il ct azzurro: "Sono sicuro vi porterà al Mondiale, era un Leone Indomabile, come me. Chi vince questa Coppa d'Africa? Il Marocco è favorito"

21 dicembre - 19:00 - RABAT (MAROCCO)

Rigobert Song è una leggenda del calcio africano, 8 Coppe d’Africa (due vinte) e 4 Mondiali con il Camerun l’hanno reso un immortale Leone Indomabile. Ma la competizione africana è terra di sorprese, e allora… “Come sta Rino? Gli dica che faccio il tifo per la sua Italia eh? Non potete non andare ai Mondiali e sono sicuro che lui vi ci porterà”, ci dice subito. E allora bisogna riavvolgere il nastro e tornare indietro fino all’estate del 1998, quando Song dopo aver giocato il Mondiale francese era passato dal Metz alla Salernitana. E lì aveva trovato un Gattuso ventenne, tornato in Italia dopo l’esperienza a Glasgow con i Rangers.

E com’era quel giovane Rino? 

“Aveva una forza mostruosa, travolgente, e non aveva paura di niente. Ed era un ragazzo d’oro, con un cuore grandissimo. Tutte qualità nelle quali mi riconosco, era un Leone Indomabile, come me!”.

Song ride. E guarda indietro senza rimpianti. Non durò tanto no?

"No no, pochissimo! Debutto con la Roma all’Olimpico e segno subito. Andiamo in vantaggio, poi perdiamo 3-1. È una delle 4 partite che ho giocato in Italia, quattro. A gennaio Gerard Houllier mi ha chiamato a Liverpool e sono andato. Bei ricordi comunque, è andata così”.

Cos’è la Coppa d’Africa? 

“Il Mondiale del nostro continente, un campionato fondamentale per gli africani. Una festa, una vetrina, un’occasione per potersi esprimere, farsi conoscere e per rivedere vecchi amici. E un torneo che è cresciuto in maniera clamorosa negli ultimi anni”.

Il suo primo ricordo?

“Indelebile: a Soweto, partita inaugurale della Coppa del 1996, in tribuna c’era Nelson Mandela. Un’atmosfera incredibile, la celebrazione calcistica della fine dell’apartheid, abbiamo perso 3-0 ma non era una partita come le altre, si avvertiva il peso della storia”.

E oggi? 

“Oggi siamo in Marocco per un torneo molto più grande, allora c’erano 16 squadre e oggi 24, siamo ospiti di quello che è diventato un Paese esemplare per il calcio africano. Il Marocco ha dimostrato che con volontà, mezzi, programmazione, impegno, e ovviamente soldi, si possono fare grandi cose, che ci si può confrontare col calcio europeo, competere allo stesso livello. E infatti tra meno di 5 anni qui organizzeranno il Mondiale”.

E il resto dell’Africa? 

“Fatica”.

Perché? 

“Perché ci vogliono i mezzi, e non solo finanziari. Non basta la passione, bisogna dare la possibilità alle persone di esprimersi, di crescere. La passione non può essere l’unico motore dello sviluppo. Restiamo su un piano strettamente calcistico: qui in Marocco ci sono campi ovunque: in altri Paesi non è così, e se i bambini e i ragazzi non hanno un posto dove giocare la passione serve a poco. E vale anche per noi professionisti: non ci hanno mai dato la possibilità di restare a casa, siamo sempre stati costretti a venire in Europa. Che a livello lavorativo ed economico per il singolo va bene, ma così la struttura locale non cresce mai, non si costruisce il futuro. Ci sono nazionali africane che hanno 28 convocati su 28 tesserati all’estero, e così è difficile migliorare. La base è fondamentale e il Marocco l’ha capito da tempo puntando su ragazzi nati in Europa ma investendo pesantemente per lo sviluppo del talento locale, per non dipendere più solo ed esclusivamente dalle accademie europee. È chiaro che si tratta anche di una questione politica, e la politica è importante per avanzare. Inutile fare finta di niente o peggio essere ipocriti”.

Chi vince questa Coppa? 

“Il Marocco è ovviamente favorito. Con la semifinale Mondiale ha dimostrato tutto. E poi ha vinto tutto: la Chan, la Coppa Araba, il Mondiale Under 20… Hanno preso coscienza della loro forza. Poi è chiaro che avranno una pressione enorme e vincere in casa non è mai facile o scontato”.

Il Camerun guidato da Samuel Eto’o vive l’ennesima situazione complicata. 

“Si, ed è un peccato. Abbiamo grande potenziale, grande qualità, abbiamo tutto, ma… c’è sempre un ma. Superare quel ‘ma’ è la cosa più difficile per noi. Io però non perdo la speranza”. 

Le ultime 3 edizioni della Coppa d’Africa sono state vinte da allenatori locali, Belmadi con l’Algeria, Cisse con il Senegal, Fae con la Costa d’Avorio. 

“Malgrado tutto oggi in generale l’Africa avanza, lentamente ma avanza. Questo dato dimostra che ci sono le qualità e le persone per sfidare gli altri. Prima la cosa è emersa in campo con noi calciatori, oggi finalmente è così anche in panchina. Delle 9 nazionali africane qualificate per il Mondiale del 2026 7 hanno un ct locale. È migliorata la formazione ma anche la volontà di avere fiducia nel tecnico del proprio Paese. Si è sempre pensato che gli altri erano meglio di noi, è stato un problema generale per l’intero continente africano, che il calcio ha fatto suo. Le cose finalmente stanno cambiando”. 

La Coppa d’Africa si gioca ogni due anni e non ha una collocazione fissa nel calendario.

“Ed è un problema per tutti: nazionali, giocatori, allenatori, club. Io l’ho sofferto in prima persona: partivi e rischiavi di perdere il posto, il club si lamentava, l’allenatore pure. Ma io mi allontanavo per giocare con la mia nazionale, per il mio Paese, il mio non era un capriccio. Va trovata una soluzione che accontenti tutti, e sinora non è stato fatto”.

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