racconto
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La storia di un talento fuori dagli schemi: mente tattica, tennista raffinato, scommettitore instancabile, gran promoter soprattutto di se stesso. Almeno fin quando non lo sfidò Billie Jean King...
Essere un grandioso giocatore, del quale nemmeno una guerra mondiale riesce a far terminare la carriera, per poi passare definitivamente alla storia grazie a - o a causa di - una provocazione sessista: sono gli imprevedibili rimbalzi di una vita. Quella di Bobby Riggs, terminata esattamente trent'anni fa, ossia il 25 ottobre del 1995 a causa di un cancro alla prostata, vale la pena di essere ripercorsa, più che semplicemente raccontata, perché interseca un capitolo intero della Storia del Novecento, ben oltre le linee di un campo da tennis e chissà se e quanto il protagonista all'epoca se ne rese conto. Probabilmente sì, almeno in parte, perché sapeva come attirare su di sé il fascio di luce dei riflettori. Alto un metro e settanta, non particolarmente potente, Riggs si affermò come tennista molto "cerebrale", raffinato tecnicamente e meticoloso a livello tattico: concepiva il campo da tennis come una scacchiera, le sue pedine erano i ritmi variegati che imponeva al match e di conseguenza all'avversario, del quale era in grado di leggerelle intenzioni quasi sempre in anticipo, per poi frustrarlo con i suoi proverbiali colpi millimetrati, con i lob beffardi.

