
Il messicano impressiona, ma potrebbe andare in difficoltà nelle tappe alpine con più salite in successione e dislivello sopra i 3.000 metri. Come gestirà la tappa del Colle delle Finestre?
La maglia rosa Isaac Del Toro ha 21 anni, il secondo in classifica Juan Ayuso ne ha 22, e sul podio con loro c’è Antonio Tiberi che ne ha 23. È un Giro per giovani, e paradossalmente l’esperienza rischia di rivelarsi un fattore determinante nella terza settimana. In quale modo determinerà la corsa è al momento impossibile da prevedere. Possiamo immaginare trame e scenari, ma poi arriverà il momento in cui decideranno le gambe. "Parlerà la strada", dicono in gruppo. Ed è sempre vero. Chi sta correndo il Giro parla di un Del Toro impressionante per freschezza e spigliatezza. Giulio Ciccone ha ammesso che il messicano è il suo favorito per la vittoria finale, Egan Bernal era stato il primo a esporsi. "Mi piace molto come corridore, è molto intelligente, si muove molto bene, è sempre davanti. Per me è uno dei migliori in circolazione. Chiaramente, può vincere la corsa, sì". Quando gliel’hanno detto, Del Toro si è commosso. Perché quando Bernal ha rischiato di morire andandosi a schiantare contro una corriera ferma sul bordo della strada, anche lui era alle prese con una brutta frattura e ha pensato che non avrebbe più fatto il corridore. Bernal è stato il suo faro, il suo esempio, e adesso dice che Isaac può vincere il Giro. Il vento fa il suo giro, e al traguardo c’è ancora Del Toro in maglia rosa, per la quinta tappa di fila.
L'ESPERIENZA
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Quanto può durare? È questa la domanda che si fanno tutti, adesso che siamo entrati nella seconda metà del Giro e sono passate due settimane dal via di Durazzo. Questa è soltanto la seconda volta in vita sua che Del Toro affronta una corsa di tre settimane. È difficile confrontare questo Giro con la sua esperienza precedente, quella all’ultima Vuelta: correre da gregario (di Pogacar o di Ayuso) non è come trovarsi leader della corsa, tutt’altro. Quello che sappiamo è che alla Vuelta dello scorso anno nella terza settimana Del Toro è stato brillante. Nella 16ª tappa, che arrivava ai Lagos de Covadonga, il messicano è riuscito a entrare dopo 20 chilometri nella fuga giusta con van Aert, Vine, Soler, Lecerf, Frigo e Zana - tra gli altri - ed è stato sesto al traguardo. E anche nella tappa di Picón Blanco, la penultima, ha chiuso ventesimo prima di mostrarsi molto a suo agio nella crono finale (13°) di oltre 24 chilometri. È chiaro che un conto è piazzarsi andando in fuga, un altro è gestire una maglia da leader. Una cosa è sicura: da quando ha preso la maglia rosa (ma oseremmo dire anche prima: ricordate la crono di Tirana quando fu dodicesimo a 18” da Tarling e a 1” da Ayuso?) Del Toro corre da leader. Sta sempre davanti, svetta, controlla amici e avversari, tiene da conto i secondi di abbuono ma ha anche l’eleganza di lasciare che Ayuso si prenda i suoi. Non fa polemiche, non abbocca agli ami, sorride.
LE SALITE
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Le cronometro sono finite, quindi diciamo un’ovvietà: il Giro numero 108 si deciderà sulle montagne. Del Toro è naturalmente uno scalatore, anche se diverso da Ayuso: al contrario dello spagnolo, il messicano è anche un uomo da classiche, come ha già dimostrato vincendo la Milano-Torino e facendo il record sulla salita di Superga. Una salita di 4,9 km al al 9,1% di pendenza media con l’arrivo posto a 669 metri sul livello del mare. Del Toro l’ha scalata in 13’17” (19” in meno rispetto a Roglic nel 2021) a una velocità media di 22,1 km, con una VAM di circa 2.000 m/h. Una prestazione clamorosa. E se non è possibile né corretto confrontarla con la stessa salita fatta in un’altra occasione, non possiamo non rilevare che Pogacar, che nel 2021 fu quarto dietro a Roglic, Adam Yates e Almeida, con quel tempo quest’anno non sarebbe entrato nella top 15. Questo per sottolineare una volta di più che Del Toro è uno scalatore nato. Ma torniamo al Giro. Il primo appuntamento con la salita arriva domenica, ma il Monte Grappa si affronta dal versante più morbido e soprattutto a 90 chilometri dal traguardo, sulla falsariga del San Pellegrino in Alpe di mercoledì, e non dovrebbe fare danni in classifica. È martedì prossimo il primo giorno da segnare sul calendario: perché le tappe dopo il riposo sono sempre insidiose, e soprattutto perché 199 chilometri con 5mila metri di dislivello sono quello che ci vuole per scardinare un Giro, se si ha intenzione di farlo. Carbonare, Candriai, Santa Barbara e San Valentino in successione possono far perdere quarti d’ora, mica soltanto minuti. E per chi sopravvive al primo tappone, ecco che il giorno dopo arrivano (ancora lontani dal traguardo) Tonale e Mortirolo, preludio all’uno-due sulle salite delle Alpi Occidentali: il tappone di venerdì 30 con quasi 5mila metri di dislivello tra Tzecore, Saint-Pantaléon e Col de Joux, con arrivo a Champoluc, e l’apoteosi del giorno dopo con Lys, Finestre con quegli 8 chilometri di sterrato e Sestriere. Sono 45 chilometri che valgono un Giro. Quando le montagne saranno in successione, senza spazio per respirare tra una e l’altra, sapremo chi è veramente Isaac Del Toro.
I PRECEDENTI
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In questo Giro il giovane messicano è stato brillante su tutti i terreni: sullo sterrato, a cronometro e anche in salita. Ha una gamba strepitosa, sprizza energia e fiducia da tutti i pori. È stato secondo a Tagliacozzo, sul primo arrivo in salita della corsa, alle spalle del capitano designato della UAE, Ayuso: quel giorno Del Toro ha regolato un gruppetto di lusso composto da Bernal, Roglic, Ciccone, Tiberi, Caruso e Carapaz. Anche nel finale della tappa di Castelnovo ne’ Monti Isaac ha chiuso secondo, stavolta dietro a Carapaz, guadagnandosi l’abbuono. Per ora soltanto Ayuso (a Tagliacozzo) e Carapaz (in Emilia) lo hanno staccato in salita. E già l’anno scorso, al debutto tra i pro’, Isaac si era messo in evidenza in salita: a Willunga Hill, in Australia, sul Monte Petrano alla Tirreno-Adriatico, e appunto ai Lagos de Covadonga. Ma finora, ad eccezione del Giro, ha battuto Roglic soltanto una volta su un arrivo in salita: proprio ai Lagos de Covadonga, quando lo sloveno arrivò al traguardo due minuti e mezzo dopo di lui. Parlando di precedenti, la situazione in cui si trova la UAE non è dissimile da quella che portò Kuss a vincere la Vuelta in cui era partito per fare da gregario a Roglic e a Vingegaard, nel 2023. Qualcuno rievoca piuttosto l’exploit in rosa di João Almeida al Giro 2020, quando poi il portoghese scivolò fuori dal podio nel finale. Ma Del Toro è famoso in gruppo per muoversi in modo intelligente, per trovarsi sempre al posto giusto al momento giusto. E certo saprà che non deve stare attento soltanto al suo compagno Ayuso: Tiberi, Simon Yates, Roglic e Carapaz hanno tutti distacchi che può bastare una sola salita ad annullare.
LA STRATEGIA
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Certo, il ciclismo è uno strano sport: vince uno, ma è tutta la squadra che corre. Essere nella UAE sarà un grande vantaggio per Del Toro. Ci spieghiamo: il management del team aveva scelto Ayuso come capitano per il Giro, non senza ragione. Ha più esperienza: ha corso due volte la Vuelta, chiudendo terzo nel 2022 e quarto l’anno dopo, ed era anche al Tour dell’anno scorso, quando si ruppe qualcosa con Pogacar. Nella tappa degli sterrati però Ayuso è caduto, Del Toro è andato all’attacco ed è arrivato al traguardo insieme a van Aert, prendendosi la maglia rosa. Non era previsto, ma in squadra non hanno fatto una piega, e adesso si trovano tre corridori tra i primi otto, due ai primi due posti. Ayuso, che si è fatto ricucire un ginocchio dopo la tappa di Siena, ha affrontato il caso con la dovuta trasparenza, dicendo che l’importante è che il Giro lo vincano loro, "se proprio devo perderlo, spero che vinca Del Toro". Con il messicano in rosa, il team ha rapidamente corretto la strategia, e proteggerà la maglia rosa di Isaac. Così come proteggerà Ayuso. Perché quello che dice lo spagnolo è vero: al team interessa che vinca un corridore UAE, non tanto chi sia. Ma è anche vero che non hanno alcun interesse a stressare il rapporto con Del Toro, che ha firmato con loro fino al 2029. E che promette di essere il prossimo fenomeno (ma perché prossimo? Potrebbe essere già molto attuale). È difficile credere che la squadra di Matxin possa perdere questo Giro con due punte ai primi due posti. È vero che con due capitani si rinuncia di fatto a un uomo (Del Toro sarebbe stato uno dei più preziosi gregari di Ayuso) ma con corridori come McNulty, Majka e Adam Yates è presumibile che la UAE non avrà problemi a controllare comunque la corsa sulle montagne. Sulla carta era forte anche la squadra di Roglic, ma ha perso subito Hindley e ha un Dani Martinez quasi irriconoscibile: sta di fatto che lo sloveno deve ringraziare Aleotti e Pellizzari se è ancora in lizza. Ma c’è fondamentalmente un motivo per cui è così difficile credere che Del Toro si perderà lungo la strada e non vincerà questo Giro. È che sembra un po’ Pogacar, sì, l’abbiamo detto.