Anche il Mito ne vinse 5, ma non di seguito. Pure l'ultima Classica Monumento del 2025 va al campione del mondo, che scatta a 37 km dall'arrivo, agguanta Simmons in fuga e fa subito il vuoto, gli resiste alle spalle solo Evenepoel, che arriva a 1'48"
Dal nostro inviato Filippo Conticello
11 ottobre 2025 (modifica alle 17:19) - BERGAMO
Alle 16.50 Tadej Pogacar si infila a braccia alzate, come una freccia appuntita, e nessuno sul traguardo di Bergamo sembra più stupirsi di quanto ammirato: il 27enne sloveno ha reso ordinario lo straordinario, ha trasformato la leggenda in normalità. Questo quinto Lombardia di fila, che saluta le Classiche del 2025, stravinto partendo da solo a 37 km dall’arrivo e annullando le velleità del povero fuggitivo americano Simmons, è l’ennesimo passo verso il cielo: la decima Monumento di una carriera che non ha limiti. Se il tutti contro Pogi e contro la sua Uae non funziona mai, non è andata a segno neanche l’opera di resistenza di Remco Evenepoel, ancora secondo a 1’48” (e abile a dribblare una moto piantatasi davanti negli ultimi tre km) e altro protagonista in una giornata che non sembra neanche autunnale: le foglie morte sono cadute davvero lungo il Lario, nei luoghi del Manzoni e tra le valli bergamasche, ma c’era un tepore magico a condire l’ennesima impresa slovena. Terzo Michael Storer, australiano della Tudor. Questo Lombardia numero 119 è finito, dunque, come il 118, il 117, il 116, il 115: quando Tadej è passato da qui, è andato sempre all'incasso. Ogni volta che ha corso la “Classica delle foglie morte”, ha vinto più o meno di slancio, e il 2025 non ha fatto differenza. Questa cinquina, però, lo pone in un’altra dimensione, lassù nella leggenda, davanti a Fausto Coppi e a ogni altro prima di lui: dopo i quattro centri di fila tra il 1946 e il 1949, il Campionissimo aspettò il 1954 per completare la sequenza, mentre Pogi lo ha fatto di fila, senza sosta, senza mai prendere la rincorsa. Una tale tirannia non si è mai vista né al Lombardia né in nessun altro Monumento, visto che anche le sette Sanremo di Merckx e le sei di Girardengo non furono mai consecutive.
la corsa
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Dopo il via allegro sul Lago, riempito di tifosi, turisti e delle solite bandiere slovene, è arrivata subito la scalata sacra della Madonna del Ghisallo, che è un atto di fede e non solo di sport, anche quando si compie dal versante più agevole come stavolta: qui nel 1949 Coppi, Bartali e Magni portarono la fiaccola nella piccola chiesetta dedicata alla Vergine protettrice dei ciclisti. Una preghiera per il gruppo che sfila, un viaggio spirituale, ma decisamente prematuro per orientare i destini della corsa, anche perché i primi bollori sono arrivati inevitabilmente in provincia di Bergamo. Lì, dove la strada si fa più inquieta, con una bella sequela di salite: prima la Roncola con punte al 17%, poi il Berbenno e il Passo della Crocetta, lungo 11 km al 6,2%. Se nell’imbocco della salita è caduto Jay Hindley, capitano della Red Bull Bora Hansgrohe, tra i più attesi alla vigilia e in difficoltà da quel momento in poi, è stato il campione americano Quinn Simmons a sorprendere tuti: è riuscito a staccare di prepotenza i compagni della fuga di giornata, tra cui un tonicissimo Filippo Ganna (Bilbao, Vervaeke e Matthews con lui), e a rosicchiare secondi e poi minuti. Simmons, trumpiano di ferro, avrà reso orgoglioso il suo presidente impegnato in altre faccende al momento, guadagnando terreno sia nell’ascesa di Zamba Alta che in discesa: è arrivato a 55 km dalla conclusione a 2'05" su Ganna e soci e a oltre 3' sul gruppo Pogacar.
l'apoteosi
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In quel momento, è arrivato il momento della chiamata alle armi per i soldati di Tadej: gli uomini della UAE-XRG si sono messi al lavoro in testa al gruppo, che ha riassorbito gli altri attaccanti, col forcing guidato soprattutto da Rafal Majka, all’ultima gara della carriera e omaggiato in partenza dai compagni emiratini e pure dal suo capitano lungo la corsa con teatrale “chapeau”. Un ritmo che ha fatto male e sgretolato il gruppo dei migliori, ridotto a Del Toro, Evenepol, Storer e Seixas oltre ovviamente a Pogacar. È il momento in cui la strada più si impenna, la chiave della giornata, il Passo di Ganda, 9,2 km al 7,3% con punte al 15% negli ultimi chilometri: proprio a queste altezze Pogacar aveva giù esercitato la sua dittatura feroce, nel 2021 e nel 2023, e non poteva esimersi neanche stavolta. A 37 dall’arrivo, sfruttando il lavoro generoso di Del Toro, Pogi è dunque partito e tanti saluti agli altri avventori, come da tradizione: nessuno è riuscito a rispondere, neanche Remco, dai soliti toni bellicosi alla vigilia. Lo stesso Simmons ha visto polverizzare il suo minuto e briciole di vantaggio: è stato affiancato e superato dallo sloveno, prima di essere ripreso pure da Evenepoel e Storer. Pogacar, invece, ha fatto la solita gara a sé: un tornado anche nella lunga e articolata discesa che conduce al finale in città, quando si è spalancata l’ascesa di Colle Aperto, con rampe oltre il 10% e 200 metri di ciottoli, a chiudere la partita. Il passaggio a Bergamo Alta è stato un bagno di passione - non c’era spazio per uno spillo in nessuna funicolare per la città vecchia -, fino agli ultimi 1800 metri di discesa verso l’arrivo a Bergamo Bassa in viale Roma. La liturgia slovena dell'anno dice Fiandre, Tour, Liegi, Mondiale ed Europeo: Tadej non salirà più su una bici nel 2025 per una gara ufficiale e i suoi rivali, sfiancati, rifiateranno. Agli appassionati, anche quelli che lamentano la monotonia di uno sport in cui vince sempre lo stesso uomo, mancherà invece questo spettacolo della natura.