Cinque come i Lombardia di Pogacar: le vittorie consecutive dei campioni sembrano giocare col 5. Ma c’è di meglio…
Il problema, semmai, è che il cinque potrebbe diventare presto sei. Poi sette, otto, col rischio di stancarsi anche di contare. Vale per i Lombardia vinti, giardino di casa di Tadej Pogacar, ma forse anche per i Tour, i Mondiali e chissà cos’altro ancora, visto che l’unico limite per lo sloveno pare essere il cielo. Al momento, la serie consecutiva più lunga del 27enne terribile è proprio nella “Classica delle foglie morte”, che anche ieri cadevano lungo il Lario, nei luoghi del Manzoni e tra le valli bergamasche. Tadej la domina con ferocia e ininterrottamente dal 2021, così ha portato il ciclismo un passo oltre Coppi e Merckx: nessuno era riuscito a fare cinquina consecutiva di Monumenti. Vincere tanto, anche di più, è stato possibile (sono 7 le Sanremo del Cannibale belga), ma fare il percorso netto senza pause proietta l’impresa in un’altra dimensione. Nello stesso empireo di giganti, mostri di continuità e tenacia.
slam
—
Ad esempio, l’erba sacra di Wimbledon è stata il tappeto su cui sfilava Bjorn Borg, uomo di ghiaccio, campione per un quinquennio dorato dal 1976 al 1980. Lo svedese abita nella leggenda, ma non quanto lo svizzero che sarebbe arrivato dopo e molto più in su: Roger Federer ha messo sulla stessa mensola, uno dopo l’altro, cinque trofei dello Slam londinese (degli otto complessivi) tra il 2003 e il 2007 e, quasi in contemporanea, ha aggiunto altrettanti Us Open tra il 2004 e il 2008. La terra era, invece, religione spagnola con un’unica divinità: Rafael Nadal ha trionfato al Roland Garros dal 2010 al 2014, ma il bello è che ne ha aggiunti pure altri quattro prima, 2005-2008, e dopo, 2017-2020, con un ultimo canto eroico nel 2022. Si può dominare come la bellezza apollinea e con l’ascia da guerra, conta poco alla prova dei fatti.
motore e giochi
—
Cambia il rumore, romba il motore, ma non la sostanza. Nel motociclismo la leggenda nasce solo nella classe regina, e pazienza se nelle classi inferiori si sprecano le serie di mondiali vinti. Prima sarebbe arrivato Mick Doohan, l’australiano che dal 1994 al 1998 ha imposto una tirannia, tecnica e mentale, sulla sua Honda 500: a quei tempi, controllare una moto significava domarla per davvero. A scalzare l’americano sarebbe poi arrivato Valentino Rossi, il Dottore che ha cambiato partito ma non abitudine: dal 2001 al 2005 ha firmato cinque dei suoi sette mondiali di fila, tra 500 e MotoGP, dinastia ancora più incredibile perché a cavallo di due moto. Nel 2004 lasciava, infatti, una Honda dominante per passare a una Yamaha data per finita, e come sia finita subito è storia. Ben prima, Giacomo Agostini incideva nella pietra un record di granito: campione senza sosta dal 1966 al 1972, con lui il cinque diventa sette. Piuttosto, alla luce del presente, sarebbe doloroso per la Ferrari ricordare la gloria che fu: nessuno in F.1 si è arrampicato all’altezza di Michael Schumacher, cinque titoli a Maranello dal 2000 al 2004. Chi pensa sia impossibile riuscirci alle Olimpiadi, invece, prenda un volo per l’Avana: Mijain Lopez Nuñez, colosso cubano di lotta greco-romana categoria 130 kg, si è messo al collo il quinto oro nel 2024 a 41 anni. Aveva iniziato a Pechino 2008, poi Londra, Rio, Tokyo prima di Parigi: lo chiamano “El Teribile”, il soprannome starebbe bene pure a Pogi. Almeno lui, però, difficilmente arriverà a sei.