Siamo andati con la pallavolista azzurra nella sua Narbolia, in Sardegna. Ai nonni ha subito voluto portare i simboli dei suoi trionfi in azzurro: "Qui sono sempre stata circondata dall’amore. Casa è la mia famiglia, un legame che non si può spezzare"
Per amore. Tutto quello che fa Alessia Orro ha un legame feroce con le sue radici sarde. La sua Narbolia, “a quindici minuti dal mare, anche meno”, i genitori, mamma Caterina che l’ha cresciuta in palestra; Sara che ha accettato di veder crescere la sua sorellina a distanza; i nonni Palmira e Peppino, Grazietta e Camillo, che l’hanno vista partire bambina e ogni volta la vedono tornare con una medaglia più bella. Anche in campo, Alessia la palleggiatrice fa ogni cosa per amore: distribuisce il gioco alle compagne, sempre a disposizione della squadra, per loro si è impegnata a difendere di più e a migliorare tanto in battuta. Si batte per tutte le altre donne: se fa uno spot, è per fare in modo che le mestruazioni non siano più un tabù, “è una cosa naturale, perché dovremmo vergognarcene?”. Non sorprende che l’abbiano premiata come miglior giocatrice del Mondiale. Orro sa fare qualcosa che non è da tutti: vola, ma con le radici ben piantate per terra. La sua terra.
A cosa ti fa pensare la parola casa?
“Casa è la mia famiglia. È molto importante per me, è un legame che non si può spezzare. Lo so che si vede anche da fuori, che si percepisce il calore. Cosa posso farci? Io sono nata e cresciuta con tutto questo affetto, mi reputo molto fortunata in questo, non è scontato: sono sempre stata circondata dall’amore”.
Per questo sul podio mondiale avevi la bandiera dei Quattro Mori?
“Sono molto orgogliosa della mia regione, del mio paesino di 1.800 abitanti, in pratica siamo tutti parenti... Ho la mia terra sempre nel cuore, non dimentico mai che sono l’unica sarda in Nazionale, è come se mi portassi sempre dietro tutta la mia regione. In passato c’è stata Rosanna Baiardo, ora sono io che ho preso il testimone. Ci tengo tantissimo”.
Un odore che ti ricorda casa?
“Il profumo della lavanda”.
Un colore?
“Il rosa, io la Sardegna la vedo rosa, è il mio colore preferito”.
Un rumore?
“Quello dei miei cani che abbaiano”.
Un sapore?
“Il sugo che fa mamma, non so la ricetta però è molto buono. Apro gli occhi la mattina e sento quel profumo che arriva dalla cucina e so che sono a casa”.
E adesso hai anche un fidanzato che molla tutto per venire a Istanbul con te. Si è sbilanciato.
“Beh molla tutto... Vorrei precisare. Matteo (Picchio, ndr) da piccolo sognava di giocare a pallavolo, e c’è riuscito, giocava a Monza in Serie A. Poi con gli anni le priorità sono cambiate, il suo sogno è diventato fare il preparatore atletico e, prima o poi, avrebbe lasciato la pallavolo giocata. Quando è arrivata la mia opportunità di trasferirmi in Turchia, ha preso la palla al balzo e ha scelto di seguirmi: lo aspetta un percorso di studio, un tirocinio, e, intanto, vedrà una realtà diversa da quella italiana”.
Sei andata via da piccola per inseguire il tuo sogno. Questo ha rafforzato il legame con le tue radici?
“Sicuramente, andare via da casa a 13 anni non è facile, ho sofferto tanto, soprattutto il primo anno: mi sono ritrovata in una realtà completamente nuova e lontana da quella cui ero abituata, mi mancava tutto, i miei genitori, mia sorella, i nonni. Appena avevo un giorno libero, tornavo in Sardegna. Però è stata una scelta mia, mi è stata data un’opportunità unica e ho voluto sfruttarla”.
Sarà stato difficile anche per i tuoi.
“Drammatico. Hanno visto partire la figlia più piccola, e per decidere abbiamo avuto pochissimo tempo, meno di due settimane. Ho stravolto anche la loro vita, ma mi hanno sempre supportato. Sono andata a vivere al Club Italia, dove la Federazione coltiva le ragazze di talento, mi sono trasferita al Centro Pavesi di Milano. La mia vita in pratica era pallavolo, scuola, pallavolo, scuola. Si dice che noi sardi siamo molto forti, molto duri. È così. Di sicuro non molliamo alla prima difficoltà”.
Da lì sei arrivata in cima al mondo. Che effetto ti fa?
“Davvero molto strano. Non mi sono mai posta limiti nella vita, però ho sempre sognato. Quando ero piccola, sognavo di giocare in Serie A e poi di entrare in Nazionale. Quando ci sono arrivata, mi sono detta: adesso il sogno cambia, diventa vincere tutto con la maglia azzurra”.
E adesso non hai più niente da sognare?
“Ma noooo. Adesso voglio vincere tutto col Fenerbahce, sono concentrata su questa nuova avventura per ottenere il massimo”.

Ma c’è ancora la Nazionale, non vorrai smettere di vincere.
“Vediamo, non lo so, non ho ancora sentito Velasco, ho letto che dopo il Mondiale ha parlato di riposo. Ma in realtà nessuna di noi ha ancora parlato con lui, non so cosa succederà. Ora mi voglio concentrare su questa nuova avventura”.
Perché in Turchia?
“Ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto andare all’estero, magari a fine carriera, poi mi sono trovata un po’ all’improvviso ad avere questa opportunità, e ho preso la mia decisione. A Istanbul ero stata tante volte a giocare, fin da piccola, ma non l’avevo mai vista davvero: noi siamo sempre tra palestre, hotel e pullman. Mi è bastata una settimana per rendermi conto che è bellissima, mi piace un sacco, e poi ho trovato casa in una zona bella, vicino al mare, e questa cosa mi fa impazzire”.
Anche la tua amica Sylla ha scelto Istanbul. Che coincidenza.
“Abbiamo già cronometrato: abitiamo a 18 minuti di distanza. In auto. Ed Héléna Cazaute, che gioca nel VakıfBank, è a otto minuti da me, sempre nella parte asiatica della città. Quando ho saputo che Myriam aveva scelto il Galatasaray, sono stata davvero contentissima, e mi sono anche un po’ tranquillizzata: per tutte e due è la prima esperienza all’estero, e sapere che avrò una figura solida come lei così vicina mi fa sentire bene. Sembra proprio che il destino non voglia che siamo troppo distanti”.
Com’è nata l’amicizia con Myriam?
“Tantissimi anni fa. Ci siamo sempre incrociate sul campo, poi ho iniziato a conoscerla meglio in Nazionale, e ci siamo avvicinate perché abbiamo un’amica (e collega) in comune, Raphaela Folie. Ogni anno ci siamo legate sempre di più finché siamo arrivate a giocare insieme e allora siamo diventate inseparabili. Myriam è una sorella per me: io so tutto di lei, lei sa tutto di me, sappiamo come prenderci, cosa dirci. Lei c’è sempre nei momenti belli, e soprattutto in quelli brutti. È un’amicizia rara e pura, e sono molto grata di averla trovata”.
Tu sei una capace di condividere, di farsi aiutare. È stato evidente anche quando hai passato quella brutta storia dello stalker.
“La cosa più difficile è accettare le situazioni in cui sei. Una volta che le accetti puoi cercare di superarle”.
Tu a chi l’avresti dato il premio di Mvp del Mondiale?
“A Myriam. Io le voglio bene, ma non è per questo: penso che se lo meritasse per la persona che è e anche perché so tutti i sacrifici che ha fatto. Ha fatto un torneo strepitoso, cresceva a ogni partita, ha retto la squadra nei momenti di difficoltà, quando non giravano le cose”.
Proviamo a indovinare: Myriam invece è contenta che l’abbia vinto tu.
“Me l’ha detto, sì. Non è normale che in un torneo femminile venga premiata una palleggiatrice, e io ne sono molto orgogliosa, dopo tutte le porte in faccia, le batoste che ho preso, le sconfitte. Tutte difficoltà che però mi hanno reso più forte. Avevo ancora più voglia di dimostrare che potevo farcela anch’io, ed è stata una piccola soddisfazione: alla fine l’Mvp è solo un premio, l’importante è che la squadra abbia vinto quell’oro che mancava da 23 anni. Quello che abbiamo fatto è stato un percorso in salita, io me lo ricordo da dove siamo partite”.
A Istanbul ti hanno dato il benvenuto con un video piuttosto impegnativo, disegnandoti come una guerriera. Ti senti così?
“Io sì. Nella vita, non soltanto nella pallavolo. Lo dico per tutte le scelte, le situazioni in cui mi sono trovata: non mi sono mai abbattuta, non ho mai mollato anche se vedevo la strada in salita. Cadere è normale, l’importante è rialzarsi”.
Che cosa ti ha sorpreso di Velasco, c’è stato qualcosa che non ti aspettavi?
“Sinceramente? No. Perché quando non conosco qualcuno, non mi faccio aspettative, nessun viaggio. Julio si è fatto voler bene essendo se stesso”.
Ti ha conquistato facendovi cantare insieme?
“Ecco, quello no. Anche perché io sono stonatissima. Questa storia dei cori è cominciata con le ragazze più giovani quando noi eravamo ancora impegnate nei playoff e in Champions. Noi abbiamo fatto soltanto due o tre settimane di coro, ma soltanto il primo era obbligatorio. Il bello di Julio è che non ti costringe mai a fare qualcosa. A tante ragazze è piaciuto tantissimo, io proprio non sono portata”.
Il ct dice sempre che non gli interessa che siate amiche.
“Ha ragione. In un gruppo di tante persone è raro essere tutte amiche al di fuori del campo, ognuna ha il suo carattere, le sue necessità, le sue abitudini, è possibile non essere compatibili. Ma Julio ha sempre detto che quando entriamo in campo ognuna di noi deve avere lo stesso obiettivo e a quel punto tutto il resto scompare. Abbiamo lavorato tanto, abbiamo messo da parte tutto il resto, siamo state concentrate solo su quello che succedeva lì tra quelle righe: volevamo soltanto percorrere la strada che portava alla vittoria”.