Neuroni della sazietà: l’olfatto in prima linea nella lotta all’obesità

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Su Nature Metabolism

Una ricerca del Max Planck Institute apre nuove possibilità terapeutiche agendo sui segnali olfattivi: un giorno potremmo regolare l’appetito annusando

di Federico Mereta

20 giugno 2025

La conosciamo tutti l’acquolina in bocca. E’ una sensazione bellissima, con la vista del piatto e soprattutto con il profumo che viene dalla cucina capaci di stimolare la sensazione di appetito. Ma la chiave biologica di un processo di tale complessità, oltre al ruolo del bulbo olfattivo e dalla combinazione dei sensi che si attiva agendo sulla fame, almeno per quanto riguarda l’olfatto, non è ancora del tutto chiara. Soprattutto, diventa difficile considerare come e quanto la semplice preparazione di un cibo in cucina o piuttosto la permanenza vicino a un luogo di preparazione alimentare possa determinare risposte diverse nei vari soggetti e quali circuiti nervosi potrebbero entrare in gioco. Un tassello di questo mosaico è ora però più chiaro grazie a uno studio degli esperti del Max Planck Institute for Metabolism Research, pubblicato su Nature Metabolism. Questa conoscenza, per ora testata solo su base sperimentale, potrebbe aprire la strada a nuovi approcci per la cura dell’obesità destinati a passare attraverso il naso e appunto l’olfatto.

Cosa succede normalmente

Sostanzialmente, la ricerca mostra come annusare il cibo possa innescare una sensazione di sazietà nei topi magri, mentre nei topi obesi, lo stesso segnale non funziona. Il tutto, grazie a una connessione diretta che dal naso giunge a una rete di neuroni nel cervello capaci di rispondere proprio agli stimoli olfattivi e di far partire la sensazione di sazietà negli animali normopeso. Lo stesso non accadrebbe però negli animali in sovrappeso o francamente obesi. Per questo, l’ipotesi di agire proprio su queste cellule si preannuncia come un possibile meccanismo target per affrontare il fenomeno dell’obesità passando attraverso le percezioni olfattive, con stimolazioni diverse da proporre in base al peso corporeo dell’animale.

Grazie ad analisi su scansioni del cervello gli scienziati (primo nome Janice Bulk) hanno indagato le regioni del cervello dei topi reagiscono agli odori del cibo e sono stati in grado di identificare un nuovo gruppo di cellule nervose nel setto mediale del cervello. Normalmente, quindi negli animali normopeso, questi neuroni specializzati agirebbero in risposta al cibo prima attivandosi quando il topo sente l’odore degli alimenti, poi determinando la sensazione di sazietà. Il tutto, entro pochi secondi perché le cellule nervose sono direttamente collegate al bulbo olfattivo. Detto che questi neuroni reagiscono a stimoli olfattivi specifici di alcuni alimenti, accade quindi che non appena i topi iniziano a mangiare, le cellule nervose sono state inibite. E soprattutto, gli animali tenderebbero comunque a mangiare meno se i neuroni in questione sono già attivati prima del pasto.

Possibili applicazioni sull’uomo

Se si analizza quanto avviene negli animali obesi ci si accorge che lo stesso nucleo neuronale risponde diversamente. O meglio: come se l’eccesso di peso alterasse la percezione, i topi non subirebbero l’azione dell’odore del cibo. Quindi i topi non solo non si sentono più sazi, ma addirittura non mangiano meno. Il che fa pensare che, pur sapendo quanto e come l’obesità possa alterare il sistema olfattivo, questi neuroni potrebbero subire l’azione dell’eccesso di tessuto adiposo.

La sfida, ora, è trasferire queste osservazioni nell’essere umano. E non è certo facile. Perché se è vero che anche nel cervello umano si trovano neuroni del tutto simili a quelli murini, non si sa se questi abbiano come “stimolatore” il profumo del cibo. In questo senso, come riporta una nota del centro di ricerca, ci sono ricerche di altri scienziati che mostrano come annusare alcuni odori specifici prima di un pasto possa ridurre l’appetito. Ma ci sono anche osservazioni diametralmente opposte, secondo cui chi è in sovrappeso tende a mangiare di più (e in modo significativo) quando si trova nelle medesime condizioni. Insomma. c’è ancora molto da fare. ma la via della ricerca è affascinante.

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