Flessibilità, obiettivi non coercitivi e un bel tesoretto di anni a disposizione. Giorgia Meloni rivendica l'accordo sul 5% alla Nato come una vittoria molto italiana e respinge le critiche dell'opposizione - ma anche della Lega - su un governo che toglie fondi al welfare per dirottarli sul riarmo. "Non distoglieremo un euro da altre priorità a tutela degli italiani", ha assicurato la presidente del Consiglio respingendo al mittente cifre e accuse ventilate dai banchi di Pd e M5S nel corso del suo intervento in Parlamento. Ma allontanando anche il pressing dell'Ue sull'utilizzo della clausola di salvaguardia per la difesa. "Nel 2026 non la attiveremo", ha annunciato Meloni.
Il vertice dell'Aja, per il capo del governo come per tutti i suoi omologhi, è stato soprattutto il vertice di Donald Trump.
In questo Meloni ha avuto buon gioco. Alla cena dei leader ospitata dai Reali d'Olanda nel cuore della capitale la premier ha avuto accesso al tavolo più ambito, quello con il presidente americano. E, forte dell'alleanza che la lega a Trump, Meloni ha avuto modo di porre l'accento con lui su un dossier non certo comodo per la Casa Bianca: "ho detto che la determinazione usata sull'Iran va mostrata anche sull'Ucraina e su Gaza, dove la situazione è insostenibile", ha raccontato Meloni. La mattina seguente, al Summit Nato vero e proprio, Meloni ha preso la parola, sottolineando la necessità di un sostegno a lungo termine per Kiev. Un concetto che ha ribadito nel primo pomeriggio quando, assieme ai leader di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia, ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La riunione, dopo il cortocircuito di Tirana lo scorso maggio e il successivo disgelo con Emmanuel Macron, ha sancito anche un altro elemento: il ritorno dell'Italia nell'alveo dei cosiddetti Volenterosi.
Tra i leader europei Meloni ha sempre sostenuto la necessità di aumentare le spese della Nato. La sua vicinanza con Trump non poteva permetterle piani B. Ai cronisti la premier ha illustrato i possibili effetti positivi che il riarmo e lo sprint sulla sicurezza potrà avere sulle imprese italiane. Quasi a farle eco la Borsa di Milano registrava un balzo di tutte le aziende del settore della difesa, a cominciare da Leonardo. "Se siamo bravi si potrà creare un circolo virtuoso, una politica espansiva", ha osservato Meloni. Anche perchè nella grande famiglia delle spese in sicurezza i governi potranno inserire voci disparate, dal digitale ai trasporti. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anche lui al Summit de L'Aja, anche il Ponte sullo Stretto potrebbe rientrarci. Le sue parole non hanno convinto per nulla l'opposizione. Elly Schlein, da Bruxelles, è tornata all'attacco. "Avrebbe dovuto tenere la stessa posizione della Spagna, ma non è in grado di dire no all'amico Trump", ha sottolineato la segretaria del Pd facendo riferimento al niet di Pedro Sanchez sul 3,5%. Una mossa che, per Meloni, è solo apparenza. "L'Italia ha fatto come la Spagna, o viceversa.
Abbiamo firmato lo stesso documento", ha chiuso la premier.
Fdi e FI, sul fronte della difesa, viaggiano a braccetto. La Lega, molto meno. Ma a contare sono i fatti. E, come ha ricordato Meloni, a votare la risoluzione sul Summit della Nato in parlamento è stata "tutta la maggioranza". Ma è sul concetto di difesa comune che meloniani e azzurri non la pensano proprio allo stesso modo. Tajani ha ricordato come l'esercito europeo, che resta "un percorso lungo", sia stato "il sogno" di De Gasperi e di Berlusconi. Meloni ha insistito su un punto: "Noi dobbiamo decidere dove stiamo, facciamo parte della Nato che è il sistema di difesa occidentale, e che è basata su eserciti nazionali che cooperano". Più che di riarmo Ue Meloni preferisce la formula del rafforzamento della colonna europea della Nato.
Formula che piace tanto Washington e molto meno a Bruxelles e ai grandi Paesi dell'Ue.
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