La strana fame di Davide Ancelotti. Al Botafogo inizia a camminare da solo

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il personaggio

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Dopo 13 anni al fianco (e all'ombra) di papà Carlo, il tecnico 35enne prende il posto di Renato Paiva. Chi lo conosce da una vita: "Umile e preparato, ha la motivazione extra di sfatare un luogo comune"

Giorgio Burreddu

7 luglio - 17:23 - MILANO

Figlio di. Sì, e allora? Parte il giro di chiamate per saperne di più su Davide Ancelotti, figlio di Carlo, da poche ore nuovo allenatore del Botafogo. Un tuffo nel passato, le esperienze contano. Giampiero Erbetta, 71 anni, più di quaranta passati in panchina, allenava il Borgomanero, Novara. Davide arrivò lì, tra splendori e miserie della Serie D, una categoria ruvida e bella. Era il 2008. “Avevo fatto il corso allenatori con il padre. Si era creata una certa amicizia e quando Davide uscì dalla Primavera del Milan, andai a conoscerlo, era maggio, poi venne in rosa da noi”. Con lo sport non puoi barare. Puoi essere fortunato una volta. Possono darti una spinta. Ma a un certo punto devi uscire allo scoperto e arrangiarti. Ancelotti jr aveva fame, voglia, ardore. Voleva capire. Perché capire ti aiuta a crescere. E così ha fatto. La sta facendo anche adesso. “Giocavamo in D, ci allenavamo in modo tradizionale, ma diciassette anni fa l’idea di calcio offensivo che avevo era un po’ più avanti. Facevamo delle giocate codificate. E allora Davide veniva da me e mi chiedeva: ‘Queste cose si possono applicare anche ad alti livelli?’. Chiedeva, era già curioso di tutto”. Con i figli d’arte è sempre la stessa solfa. Una solfa un po’ all’italiana, come la commedia. Raccomandati per forza, ma va. Tutto falso. Bisogna andare a vedere cosa c’è dietro, chi è la persona, per comprendere e poi (magari) sentenziare. Una volta è stato lo stesso Davide a uscire dall’ombra: “Lavorare con mio padre, per certi aspetti, genera molte aspettative e questo mi dà molta motivazione, voglia di farcela". 

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