La riforma Rai del centrodestra, il cda eletto dalle Camere

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Lo svincolo dal governo della nomina del cda della Rai con l'elezione di sei membri da parte del Parlamento e il nodo delle modalità di voto, con la maggioranza assoluta dal terzo scrutinio in poi, anche per la ratifica del presidente.

Sono fra i punti cardine - e già motivo di scontro politico - del testo base di riforma della Rai presentato dalla maggioranza e nato dal lavoro del comitato ristretto per unificare le 11 proposte depositate per l'adeguamento delle norme italiane all'European Media Freedom Act. Una proposta, per la quale il centrodestra punta ad andare in aula al Senato già tra settembre e ottobre, illustrata proprio nel giorno in cui il presidente Mattarella, durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, stigmatizza lo stallo di mesi in Vigilanza sulla presidenza, con il nome di Simona Agnes ostaggio dei veti incrociati tra maggioranza e opposizione. Una situazione definita dal Colle "sconfortante. La libertà vive del funzionamento delle istituzioni, non della loro paralisi".


    L'altolà del capo dello Stato viene rilanciato dalla presidente della Vigilanza, Barbara Floridia, convinta che seguire l'appello di Mattarella significhi "rafforzare la nostra democrazia e tutelare il servizio pubblico". Con l'ingorgo dei lavori parlamentari, comunque, è difficile immaginare che - dopo nove fumate nere - la bicamerale possa tornare a riunirsi per il voto sul presidente prima di settembre.
    Gli occhi sono intanto puntati sull'entrata in vigore, l'8 agosto, del Media Freedom Act, che prescrive, tra l'altro, che venga garantita l'indipendenza dei servizi pubblici dai governi.
    Per il suo testo base, la maggioranza ha preso "molti spunti anche dai disegni di legge dell'opposizione" assicura Roberto Rosso, capogruppo di Forza Italia in Vigilanza, relatore della proposta insieme con il presidente della commissione Lavori Pubblici del Senato, Claudio Fazzone. Una rassicurazione che non basta, tuttavia, ad evitare il muro contro muro con il cantiere delle opposizioni (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia Viva, Azione, +Europa) che definisce il testo "irricevibile": è "una proposta che mira a una vera e propria occupazione politica della Rai, altro che indipendenza".
    Per Floridia, nella proposta ci sono "molte più ombre che luci": "La nuova composizione del consiglio, che vede 6 membri su 7 di derivazione parlamentare con nomine che dopo le prime due votazioni possono essere accordate a maggioranza assoluta, ripropone il rischio di una Rai ostaggio della maggioranza di turno". Per Stefano Graziano, capogruppo Pd in Vigilanza, il testo della maggioranza "dà di fatto pieni poteri ai partiti di governo, offrendo loro la possibilità di eleggersi da soli tutti i consiglieri di amministrazione e anche il presidente della Rai". Pieno sostegno alla proposta arriva invece da Francesco Filini, capogruppo di Fdi nella bicamerale: "È singolare rilevare che quando la sinistra è al governo il problema dell'ingerenza dell'esecutivo sul servizio pubblico non esiste - osserva - mentre non appena è all'opposizione, come adesso, diventa un tema attuale e di emergenza democratica". Anche per Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia, quella della maggioranza è "una proposta moderna che restituisce al Parlamento la piena centralità e cancella i difetti introdotti a suo tempo da Renzi".
    Fra i temi centrali, la certezza delle risorse, con un taglio massimo al canone, previsto solo "in presenza di condizioni eccezionali debitamente motivate", non superiore al 5% rispetto all'importo dell'anno precedente. "Una potenziale riduzione "che noi riteniamo non sia sufficiente ma accettiamo", commenta Giorgio Maria Bergesio dalla Lega. Fra gli altri punti, la possibilità per la Rai di cedere quote delle proprie partecipazioni in società controllate, mantenendo comunque, per quanto riguarda le società non quotate, il controllo societario; un canale interamente dedicato alla trasmissione di programmi e rubriche di promozione culturale, privo di pubblicità e televendite. Si interviene, infine, anche sugli influencer, stabilendo che - in quanto assimilabili ai fornitori di servizi di media audiovisivi - "siano sottoposti alla giurisdizione nazionale".
   

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