Jonah Lomu, il gigante che si prese il rugby. E lo cambiò per sempre

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È stato il più giovane All Blacks di sempre, e oggi avrebbe compiuto 50 anni. Pesava 120 chili ma correva i 100 m in 10"7. E rivoluzionò il suo sport, piegandolo al servizio del talento individuale. Finché la malattia non lo fermò

Paolo Marcacci

Collaboratore

12 maggio 2025 (modifica alle 15:41) - MILANO

Sembravano piccoli gli altri, tanto era grosso lui. Siccome si parla di rugby, però, le proporzioni ne fanno un gigante. Il paradigma della forza, del gigantismo delle prestazioni, di tutte quelle anomalie che messe assieme danno corpo, tanto corpo, al prodigio. In pochi altri casi e in poche altre epoche c'è stato un atleta così rappresentativo della sua disciplina come Jonah Lomu, in rapporto al poco tempo che ha avuto a disposizione, in campo e in assoluto. Portando a spasso sull'erba il paradosso della sua unicità, il dazio pagato alla superiorità dei mezzi fisici dei quali la natura lo aveva dotato: quel corpo inarrivabile nel sintetizzare le doti più antitetiche, era anche cannibale di se stesso; divorava dall'interno il tempo che avrebbe dovuto avere a disposizione.

 David Rogers/ALLSPORT

il quartiere 

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Jonah Lomu, anzi Sione Tali Lomu detto Jonah viene alla luce esattamente cinquant'anni fa, il 12 maggio del 1975 ad Auckland, Nuova Zelanda, nel degradato sobborgo di Mängere, da genitori di origine maori. Dopo il primo anno di vita i suoi lo fanno tornare a Tonga, dove cresce, in modo esponenziale, allevato da alcuni parenti, fino all'età di sei anni, quando i suoi preferiscono farlo tornare ad Auckland per preservarlo dalle radiazioni dei continui esperimenti nucleari dei francesi. Il quartiere è quello che è, nella peggiore accezione possibile e la sua famiglia non abbassa certo la media delle problematiche, rispetto al contesto: un padre alcolizzato è un ottimo motivo per cercare di starsene in strada il più possibile, dove però le frequentazioni non bilanciano certo che c'è dentro casa; offrono soltanto una più vasta gamma di perdizioni e in famiglia c'è una "buona" scelta di esempi ai quali attingere. 

 David Rogers/ALLSPORT

il rugby 

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Jonah da adolescente si ritrova con uno zio decapitato con un machete in seguito a una resa dei conti e un cugino accoltellato in un negozio. Qualcuno a questo punto potrebbe sentenziare che chi nasce tondo non può morire quadrato, che è il detto più rinunciatario di tutti, quello che meglio giustifica i fallimenti esistenziali. Tra tondo e quadrato, il destino del ragazzo incontra una possibilità ovale, come la palla del rugby, che lo porta via di peso da quei contesti malfamati. A proposito di peso, la massa di uno così la sposti solo se lui è d'accordo. Era stata sua madre a convincerlo ad iscriversi al "Wesley college", retto da protestanti metodisti; lì il ragazzo conobbe il rugby, la disciplina che non avrebbe mai tradito: nemmeno quando, anni dopo, alcune franchigie di football americano gli offrirono contratti faraonici per importare le sue doti nella Nfl. Un metro e novantasei per centoventi chilogrammi, più o meno: scritto in lettere invece che in cifre rende l'idea dell'imponenza, soprattutto in assenza di quel filo di grasso che a occhio nudo non si era in grado di individuargli addosso. Riusciva a correre i cento metri in 10"7: scritto in cifre invece che in lettere aiuta a illustrare il compendio di doti esplosive e anaerobiche che colloca le fibre muscolari di Lomu in una dimensione quasi contronatura, perché nessuno, prima di vederlo all'opera, avrebbe mai pensato che un armadio a rotelle potesse accelerare come uno scooter. 

 Stu  Forster/Allsport

il fenomeno lomu 

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Per convincere gli scettici della prima ora, sarebbe bastato citare il palmares di Lomu nell'atletica leggera, in ambito liceale: vinse nei 100 metri, 110 a ostacoli, 200, 400, nel lancio di disco, peso e giavellotto e salto in alto, in lungo e triplo. A livello di impatto epocale, per il rugby Lomu è stato quello che Galileo Galilei è stato per l'astronomia: la testimonianza di una rivoluzione. Entrambi, peraltro, si ritrovarono alle prese con una condanna, con la differenza che Galileo poté tentare di difendersi. Un'ala - trequartista capace di accentrare su di sé gioco e avversari, sovvertendo una filosofia che sembrava connaturata al rugby medesimo. Nel regno della collettività, lo spirito di squadra viene esaltato dalle doti fuori dal comune di un singolo, a cominciare da una serie di fotogrammi memorabili. La Coppa del Mondo di Rugby del 1995, in Sudafrica: quella di "Invictus" e di Mandela col berretto verde. Lomu ha vent'anni, milita nella Federazione di Counties Manukau; l'anno prima è stato il più giovane debuttante nella Nazionale neozelandese degli All Blacks. Al secondo minuto della semifinale contro i bianchi d'Inghilterra, i venticinque passi in sette secondi di Lomu sembrano una riedizione degli undici tocchi di Maradona sempre contro i sudditi di Sua Maestà, in Messico nel 1986: in quella meta c'è l'unicità del fenomeno che prevale sull'organizzazione di squadra; l'iniziativa del singolo non fine a se stessa, ma prescindente qualsiasi schema. Quella Coppa del Mondo la Nuova Zelanda la perderà, in una finale molto bloccata e decisa dai calci piazzati, contro gli Springboks padroni di casa. Chiunque, nel mondo, pensa che Lomu avrà chissà quante altre occasioni per rifarsi. Nel frattempo, grazie a lui che ne incarna alla perfezione la rivoluzione pop, il rugby è sempre più popolare, sempre più seguito.

  Former All Black international rugby player Jonah Lomu reacts during a Rugby clinic as part of the Global Sports Forum day 1 on March 10, 2011 in Barcelona, Spain.  (Photo by David Ramos/Getty Images)

lo choc della malattia 

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Infezioni, bronchiti ricorrenti, una certa stanchezza che perdura: l'anno seguente Lomu vede la sua condizione minata da una serie di malanni. Troppi. Cominciano gli esami clinici e gli approfondimenti. L'esito cambia la storia del rugby, una volta ancora, sempre per mezzo del nome di Lomu. Uno dei suoi reni è soggetto a una disfunzione: sindrome nefrosica. Gli anni a seguire saranno per Lomu un saliscendi di condizione e di salute, di pause forzate e di ritorni all'attività con periodi ad altissimo livello, come durante la Coppa del Mondo del '99. Dice addio alla palla ovale nel 2007, quando si era già sottoposto a un trapianto di rene che a lungo andare non si sarebbe rivelato efficace. Cure, dialisi, una popolarità non intaccata dal peggioramento delle condizioni: Lomu vive della luce riflessa dalla sua immagine di invincibile, come un eroe omerico, pur se con un corpo ora martoriato dalle cure e indebolito dal progredire del male. Farebbe volentieri a cambio con Achille, che di vulnerabile aveva solo il tallone. Il 18 novembre 2015 Jonah Lomu viene placcato da un arresto cardiaco, provocato da un blocco renale. Ha quarant'anni, resta invincibile e imprendibile nell'immaginario popolare, rispetto al quale la malattia e la morte sono soltanto un'ombra passeggera sulla grandezza, fisica e sportiva, di un atleta forse irripetibile, a proposito del quale il Capitano dell'Inghilterra, Will Carling, dopo quella storica semifinale del 1995 s'era espresso con una specie di sinistra profezia: "È un mostro, prima se ne va e meglio è".

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