Intesa sui dazi appesa a un filo, Trump vuole il 15-20%

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I venti tra le due sponde dell'Atlantico preannunciano tempesta. Affatto persuaso dall'ultima offerta europea di un do ut des sulle auto, Donald Trump preme per dazi minimi tra il 15% e il 20% su tutte le merci in arrivo dal Vecchio Continente. Una richiesta che, secondo le rivelazioni del Financial Times, segna l'irrigidimento del tycoon in un negoziato che resta appeso a un filo. Quello che a Bruxelles definiscono "l'ultimo miglio", più che una distanza da colmare somiglia a un campo minato.

La missione del capo negoziatore Ue, Maros Sefcovic, a Washington non ha prodotto svolte. I faccia a faccia con il tandem trumpiano Lutnick-Greer sono stati definiti "intensi", ma il tweet promesso per raccontarne l'esito è rimasto nel cassetto. L'unico messaggio riportato al rientro è stato un monito: "Solo sforzi concertati e autentici da entrambe le parti potranno portarci al traguardo". Parole che lasciano intravedere frizioni ancora vive su dossier cruciali come automotive e agroalimentare, con l'incognita tutt'altro che secondaria dell'imprevedibilità di The Donald. Tanto che nei palazzi Ue nessuno si sente di escludere un nuovo rinvio last minute della scadenza del primo agosto da parte della Casa Bianca.

L'esecutivo von der Leyen - al momento non sono previste interlocuzioni dirette tra le tedesca e il presidente Usa - resta fermo sulla via del dialogo. "La nostra priorità è una soluzione negoziata", è tornato a ribadire il portavoce Olof Gill, sottolineando ancora una volta come la sospensione del primo pacchetto di contro-dazi da 21 miliardi di euro (pronto a entrare in vigore il 6 agosto) rappresenti un segnale distensivo, per lasciare spazio al confronto "in buona fede".

Nel briefing riservato agli ambasciatori dei Ventisette - rigorosamente in formato ristretto e senza cellulari - Sefcovic però ha illustrato l'intera gamma degli scenari possibili: dall'auspicata intesa su un'aliquota tra il 10 e il 15%, fino all'ipotesi più onerosa per l'industria continentale, con tariffe al 20%. Senza dimenticare la minaccia del 30% messa nero su bianco da Trump, preludio a uno scontro frontale e a contromisure che potrebbero estendersi alle Big Tech. Una ricostruzione che ha trovato nei rappresentanti dei Paesi membri una convergenza netta, con il "pieno mandato" politico alla Commissione in ogni fase della trattativa, consapevoli che la pressione del tycoon è destinata a toccare "l'apice" a ridosso del gong.

Se lo spettro del 20% dovesse materializzarsi, tuttavia, la tenuta politica dell'Europa potrebbe incrinarsi sotto il peso di interessi divergenti e della portata della rappresaglia allo studio. Con Bruxelles che continua a mantenere "tutte le opzioni aperte". Sognare un pareggio a dazi zero è "irrealistico", ha riconosciuto da Berlino il cancelliere Friedrich Merz, osservando come per Washington il disavanzo commerciale transatlantico si misuri soltanto sulle merci, ignorando il surplus nei servizi. L'unico approdo plausibile, nella sua visione, resta dunque un'intesa "asimmetrica", ma fondata sulle "aliquote più contenute possibili". A partire dall'automotive, trainato dalle ammiraglie tedesche, sul quale tuttavia la mano tesa dell'Ue ad azzerare le proprie tariffe sui veicoli Usa in cambio di una riduzione fino al 17,5% da parte statunitense - rispetto al 25% in vigore - non ha sortito gli effetti sperati. Da Parigi invece il tono resta più assertivo nel chiedere di sfoderare il bazooka Ue dello strumento anti-coercizione davanti a dazi "inaccettabili".

L'ultima settimana prima della deadline per Bruxelles si giocherà su due fronti asiatici: il 23 luglio a Tokyo e il 24 a Pechino. Al summit con il Giappone, Ursula von der Leyen e Antonio Costa rilanceranno la cooperazione commerciale, spingendo per un rafforzamento del Cptpp - l'accordo transpacifico che coinvolge anche Canada, Giappone e Regno Unito - come base di un 'Wto 2.0'. Poi sarà la volta della Cina, alla quale l'Europa chiederà un "riequilibrio" dei rapporti commerciali davanti a una situazione ritenuta oggi "inaccettabile". Reciprocità, il mantra da ribadire al Dragone, che potrebbe rivelarsi utile anche nel dialogo con Washington.

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