Howe: "Ho il fuoco dentro e salto ancora. Bolt se l'è presa con me ma non ha capito"

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A 40 anni il primatista italiano del lungo gareggia ancora: "Mi divido tra mia figlia Anna, la batteria e la pedana.  Che ridere Usain, nel suo libro sono il 'chiaccherone'"

Claudia Lenzi

14 settembre - 08:22 - MILANO

“Non smetto, non smetterò mai, di saltare e di divertirmi, è più forte di me”. Facciamo un passo indietro: era il 7 gennaio 2023 e Andrew Howe annunciava il ritiro definitivo dall’atletica leggera. L’argento nel salto in lungo con primato italiano (8.47) ai Mondiali di Osaka 2007 aveva deciso di mettere a riposo i suoi garretti per stare accanto alla madre malata, quella René Felton che per tanti anni è stata anche la sua allenatrice. Nel frattempo, l’astro nascente Mattia Furlani viene eletto atleta emergente europeo dell’anno, il secondo italiano di sempre a riuscirci, dopo… Howe. È una scossa: prima Asti, poi Castelporziano e Roma, infine Sestriere lo scorso 10 agosto. Salti, e ancora salti. Il più forte lunghista mai visto in azzurro è tornato, è diventato padre e non ha (più) nessuna intenzione di fermarsi. 

Ha compiuto 40 anni il 12 maggio. Chi glielo fa fare? 

“Mi piace troppo la fatica, non c’è niente da fare. Poi Fabrizio Donato è una persona incredibile, stare in gruppo con lui, Andy Diaz e i fratelli Francesco e Daniele Inzoli è splendido. Mi hanno fatto tornare la voglia di esprimermi per quello che sono in questo momento, al di là delle misure. E poi anche io do una mano…”. 

È diventato anche allenatore? 

“Diciamo che avendone passate di cotte e di crude in carriera posso dare qualche consiglio ai più giovani, così magari non cadono negli stessi errori che ho fatto io. Ma è l’atletica in generale che è cambiata molto, a livello tecnico e di preparazione non c’è proprio paragone rispetto a quando ho iniziato. Solo una cosa è identica, in Italia abbiamo ancora i migliori tecnici”. 

Oggi molti atleti scelgono gli Stati Uniti per crescere, mentre lei ha fatto letteralmente il percorso contrario. Una vita da film, a cominciare da quelle 13 ore in cui è rimasto immobile alla nascita. 

“Quando mia madre me lo racconta, ancora non riesco a crederci. A immaginare cosa ha provato lei durante il parto e poi durante il primo anno, nei momenti in cui improvvisamente andavo in apnea. Da allora la mia vita non ha mai smesso di capovolgersi, penso alle tante operazioni e alle volte che sono ripartito, c’è un fuoco dentro di me che mi porta a non mollare mai in tutto quello che faccio. Ora anche da padre”. 

Il suo, di padre, se n’è andato quasi subito. Quanto deve a sua madre, ex ostacolista dei 100 allenata da Tommie Smith? 

“Tutto. Era ancora giovane quando si è trasferita sola con me a Rieti, in un Paese che non era il suo, del quale non conosceva la lingua. Sarò grato per sempre ad Andrea Milardi che ci ha dato una grandissima mano, il resto lo ha fatto la mia voglia di arrivare. Oggi mamma sta meglio dopo aver avuto un ictus, cerca di camminare il più possibile e intanto è tornata negli Stati Uniti e ha ripreso a lavorare come fisioterapista degli stuntman di Hollywood”. 

Devo tutto a mia madre, venuta in Italia senza conoscere nulla e mi ha cresciuto da sola. A Santa Monica ascoltavo “nonno” Carl Lewis

Andrew Howe

E “nonno” Carl Lewis? L’abbiamo visto con sua figlia Anna in braccio... 

“Lo conosco fin da quando ero piccolo, andavamo a trovarlo al campo di Santa Monica e rimanevo ipnotizzato. Anche oggi starei ore ad ascoltare le sue storie di quando saltava 8.80 e 8.90, anche se era un’altra atletica”. 

Il 30 agosto il suo record italiano del lungo ha compiuto 18 anni. 

“Irving Saladino e Dwight Phillips erano nettamente più forti, ma quel giorno dovevo provarci. Quando sono atterrato nella sabbia ho visto “9” e sono impazzito, invece era 8.47. Ero più portato per la velocità, ma a quei tempi non avrei mai vinto quello che ho vinto nel lungo”. 

Prima della storica doppietta 200-lungo ai Mondiali junior di Grosseto 2004 sfidò pubblicamente un certo Usain Bolt, che poi nella sua biografia non è stato tenero con lei. 

“La verità? Ho riso come un pazzo quando l’ho saputo, perché non ha capito proprio nulla di quella esultanza a Osaka. Però ci sta l’incompresione, e poi sono sul libro di Usain Bolt (ride)”. 

Domani ai Mondiali di Tokyo tocca a Mattia Furlani. batterà il suo primato? 

“Può succedere, Mattia è molto più saltatore di me, ma proprio tanto. Basta vederlo saltare, tecnicamente è meraviglioso e ha tanto margine”. 

Anche lui è allenato dalla madre, Khaty Seck. 

“Lei però è un po’ più brava rispetto a mia madre se parliamo di forza e gesto tecnico. Sta facendo un lavoro incredibile”. 

E Jacobs? Da rivale nel lungo è diventato il campione olimpico dei 100. 

“Ricordo la velocità con cui entrava, aveva una predisposizione alla corsa impressionante. Se ci fossimo sfidati sui 100 o i 200 mi avrebbe sverniciato”. 

Kelly Doualla, nuova stella della velocità azzurra, proverà anche il salto in lungo. È d’accordo? 

“Ha 15 anni, può fare qualsiasi cosa. Deve crescere e divertirsi, deve fare tutto”. 

Anna, la sua bimba, sarà un’atleta? 

“Mi ha cambiato la vita. La mattina si alza e corre, mi fa”ciao papà” e parte sulle punte dei piedi. È una gioia immensa e ringrazio Ilaria, la mia compagna, che mi ha tirato fuori dalla cenere. Da quando stiamo insieme ho capito che non ho più nulla da dimostrare a nessuno”. 

Dunque cosa farà da grande? 

“Il batterista deathcore con un nuovo gruppo. È un genere che va molto negli Stati Uniti, cerchiamo un’etichetta per fare qualcosa di veramente importante. Un giorno mi piacerebbe esibirmi in uno stadio”.

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