Forte in salita, solido a cronometro, veloce nello sprint: Ayuso, il ragazzo che sogna in rosa

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Dall'infanzia da "nuovo Messi" al rigore scientifico di una preparazione maniacale, Ayuso si afferma come il volto nuovo del ciclismo: ambizioso, brillante e già leader tra i grandi

Alessandra Giardini

Collaboratore

16 maggio - 21:53 - MILANO

Non è mai un caso quando vince Juan Ayuso. Tutt’al più è "speciale", come dice lui appena tagliato il traguardo, perché è la prima volta in un grande Giro, e la sognava da quando era un bambino e il suo amico Mateo lo portò fuori in bicicletta. Quel giorno la sua vita cambiò, cambia sempre nel momento in cui capiamo che siamo venuti al mondo per fare esattamente quella cosa lì. Fino ad allora aveva sempre immaginato di diventare il miglior calciatore del mondo, "il nuovo Messi" diceva lui. Si pensava il nuovo Messi quando giocava per strada ad Atlanta, dove i suoi genitori - economisti entrambi - si erano trasferiti per lavoro. Si pensava il nuovo Messi quando tornarono in Spagna, e Juan andò a giocare nel CD Canillas e ad allenarsi a Valdebebas, dove c’è il centro sportivo del Real Madrid. Smise di essere così convinto quando l’allenatore lo arretrò a fare il terzino destro, così lontano dalla porta non sapeva come declinare le sue ambizioni. Quando si trasferirono a Jávea, a metà strada tra Valencia e Alicante, provò per un po’ con la vela, finché Mateo non gli propose un giro in bici. Quel giorno Juan Ayuso seppe esattamente cosa voleva fare della sua vita: sarebbe diventato il miglior ciclista del mondo. 

Tadej e juan

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Oggi che ha ventidue anni Ayuso non ha cambiato idea, ma si è trovato a correre nella UAE Team Emirates e il miglior ciclista del mondo è un suo compagno di squadra, Tadej Pogacar, che ha appena quattro anni più di lui. Quando si allenano insieme fanno registrare gli stessi watt. Dall’alto delle sue 95 vittorie tra i professionisti, lo sloveno si è immediatamente complimentato con Ayuso, "la prima è sempre speciale". Le ultime parole tra loro sono state all’insegna della distensione: Ayuso ha spiegato che il suo progetto è "diventare forte come Vingegaard, Evenepoel e Roglic", lasciando fuori Pogacar che "è il Messi del ciclismo". L’anno scorso al Tour de France avevano avuto precedenti non proprio all’insegna della diplomazia, culminati nella tappa del Galibier quando Ayuso aveva lasciato Almeida a tirare per il capitano e in alcuni tratti si era messo addirittura a ruota di Pogacar, uscendo dal suo cerchio magico. Molte squadre, intuita la situazione, si erano fatte avanti per strappare il giovane talento spagnolo alla UAE, ma poi il team ha scelto di non privarsi di tanta magia: semplicemente Pogacar e Ayuso correranno grandi Giri diversi, senza darsi fastidio. 

talento precoce

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Figlio diligente di genitori appassionati di numeri, Juan ha applicato gli studi alla bicicletta e al suo obiettivo dichiarato di trarne il massimo risultato. Matxin, il manager basco della UAE, lo ha scoperto quando Ayuso aveva appena 15 anni, e rimase colpito dalla sua ambizione e della sua consapevolezza: Juan aveva rinunciato all’adolescenza per un regime di preparazione e di nutrizione da super professionista. "Non sono mai uscito la sera con i miei amici", ha raccontato. Seguiva le tabelle di allenamento preparate dal papà su fogli Excel, mangiava quello che gli esperti di nutrizione gli suggerivano e andava a letto a presto. "Juan conosce nutrizione, biomeccanica, fisiologia, glicogeno, lattato, watt, frequenza cardiaca", ha detto Gorka Prieto, il suo nutrizionista. In questo Ayuso è nel futuro rispetto ai corridori tradizionali, abituati a fare quello che si chiedeva loro senza discutere troppo né interessarsene più di tanto. Killer, Matxin lo chiama così. E José Antonio Mantilla, che lo ha avuto nella sua squadra giovanile in Cantabria, ricorda che già da ragazzino Ayuso si interessava di meccanica, fisiologia e potenza. Ha cominciato a vincere prestissimo, e gli spagnoli a chiedersi se fosse il nuovo Contador o piuttosto il nuovo Indurain. Lo allena Íñigo San Millán, fisiologo e professore all'Università del Colorado, che prima preparava - guarda la coincidenza - Pogacar. Di Ayuso dice che è una macchina perfetta, qualche volta un po’ ossessivo, molto più maturo della sua età, rivelata soltanto dai segni recenti dell’acne. Quando in pullman legge non sono mai romanzi, ma studi di fisiologia e saggi sul funzionamento della mente. Lo psicologo Pablo Enríquez è un’altra tessera fondamentale nel puzzle Ayuso. 

ambizione e calma

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Ha appena 22 anni ma carisma a sufficienza perché uomini di lungo corso come Rafa Majka e Adam Yates accettino senza problemi di fargli da gregari. C’era magari qualche dubbio su un altro talento in rampa di lancio, Isaac del Toro, che è ancora più giovane di Ayuso: finché gli è stato davanti in classifica, si sospettava che potesse fare con il suo capitano quello che lui aveva fatto con Pogacar, ma il primo arrivo in salita ha reso evidenti tattiche e gerarchie. E probabilmente sono gli stessi direttori sportivi della UAE a volere due punte in squadra e in classifica: per battere Roglic, che ha vinto il primo round alla Vuelta a Catalunya, a fine marzo, niente di meglio che opporgli qualità e quantità. Quattro anni fa Matxin propose alla Colpack di tenerlo un po’ a Bergamo tra gli Under 23, per evitargli un salto troppo brusco tra i professionisti. Juan il killer si fece conoscere per quello che era: una macchina da guerra, che usciva ad allenarsi con qualsiasi tempo, e che andava a dormire prestissimo per recuperare al meglio. Intanto studiava: all’inglese assorbito da piccolo negli States e ribadito al collegio britannico di Jávea, aggiunse l’italiano praticato nei sei mesi a Villa d’Almé. Dominò il Giro Under 23, ma già allora covava il sogno di prendere la maglia rosa tra i professionisti. Ambizione e calma sono in equilibrio perfetto in lui. Terzo alla Vuelta prima di compiere vent’anni, due anni fa una lesione lo ha tenuto lontano dalla bici per tre mesi, e non è caduto in depressione soltanto grazie alla sua famiglia, alla compagna Laura, e a Victor Moreno, uno dei fisioterapisti della squadra. Ayuso attacca da lontano, va forte a cronometro, è veloce nello sprint, in salita difficilmente si alza sui pedali. Leggero come uno scalatore, pesa 65 chili, è alto come un corridore da classiche, uno e ottantatré, ma dice di non sentirsi tagliato per le corse di un giorno. A Tagliacozzo ha vinto la sua prima tappa in un grande Giro e la maglia rosa è tornata sulle spalle di Roglic: gloria senza responsabilità, una situazione ideale, perfetta. Quando glielo hanno fatto notare un lampo di fastidio, ma forse era un guizzo di improvvisazione, è passato sul viso da ragazzino di Ayuso. "La maglia rosa la voglio". E se la vuole, possiamo stare sicuri che ha già studiato come prendersela.

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