Fabrizio Ferri "Non solo top model, vorrei fotografare Sinner e Tyson. La mia vita è uno scatto"

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Il fotografo delle dive: "Naomi e Linda Evangelista avevano una marcia in più, oggi vorrei Jannik e Mike"

Alessandra Bocci

Giornalista

1 novembre 2025 (modifica alle 11:48) - MILANO

A cinque anni Fabrizio Ferri, allora il bambino Bitto, uscì da una finestra della sua casa di Roma e camminò sul cornicione, al quinto piano. Lo racconta nella sua autobiografia (“Fin qui”, Rizzoli). Al rientro dalla passeggiate funambolica trovò la tata bianca come un cencio, un pompiere che gli disse di non provarci più. Decise che forse da grande sarebbe diventato pompiere, invece ha fatto il fotografo e non solo. "Ma sono ancora quel bambino sul cornicione. Non ho senso del pericolo". 

Parliamo di un altro strapiombo e di una foto stupenda: la sua ex moglie Alessandra Ferri appesa con le gambe alle rocce di Pantelleria, nuda.

"Era lì, attaccata con la forza dei suoi muscoli, con centinaia di metri sotto. Ma le ballerine classiche sono come certe modelle che ho fotografato: superprofessionali, pronte a superare i limiti. E devi stare attento a che cosa chiedi, perché non hanno paura di farsi fotografare camminando sul ciglio di un crepaccio. Alessandra oltretutto nel video che abbiamo girato non stava neanche ferma, agitava le braccia come a mimare un volo. Quella era la copertina di Aria, libro digitale. Sono stato il primo a passare a una nuova tecnica". 

La fotografia è molto cambiata? 

"Ormai siamo subissati di immagini. Tutti possono fotografare e non dico che sia negativo. La fotografia non è più aristocratica, ma certe foto perfette fatte con gli smartphone descrivono la realtà senza raccontare, senza toccare il cuore. Credo che la fotografia debba sempre di più diventare arte per salvarsi, ed è il percorso che sto facendo allontanandomi dalla moda. Lavoro molto per i musei e mi piace". 

Un suo scatto del team Usa è diventato manifesto di una mostra sullo sport che apre al Mart di Rovereto. Qual è il suo rapporto con lo sport?

"Da ragazzino giocavo bene a tennis e mi mandavano ai camp estivi. Bravo negli allenamenti, mi piaceva palleggiare, se c’era da colpire i birilli col servizio non sbagliavo. Poi arrivavo ai tornei da testa di serie e finiva lì, se l’altro sfoderava la sua energia ero paralizzato. Non sono competitivo, non sono un agonista". 

Quali sono i personaggi più interessanti che ha fotografato? 

"Ho lavorato con tantissime persone interessanti. Ma quando ti confronti con top model come Naomi Campbell, Linda Evangelista, Christy Turlington capisci che hanno una marcia in più. Farsi fotografare è il loro mestiere, potrebbero risultare sempre uguali. Invece intuiscono quello che vuoi e su ogni set è diverso: sono camaleonti".  

Uno sportivo che le piacerebbe scandagliare col suo obiettivo?

"Jannik Sinner e Mike Tyson". 

Gli opposti, diciamo.

"Ma è questo che mi intriga nella faccia di Sinner: ha un’aria da bravo ragazzo, non trasmette sentimenti forti, cattiveria sportiva. Poi vedi come gioca e ti stupisci. Ecco, vorrei fotografarlo per tirare fuori quella energia, deve esserci da qualche parte". 

C’è un evento sportivo che le piacerebbe fotografare?

"Un grande torneo di tennis: Wimbledon, Parigi". 

A proposito di eventi, lei abita a New York e si corre la maratona. Com’è New York quel giorno? Un fastidio, una festa?

"La cosa che mi piace di più è che, fatto salvo un gruppo di atleti, non si corre per vincere. Quelli che l’hanno corsa più volte cercano di migliorare il proprio tempo, altri prendono la spinta dalla folla sorridente lungo il percorso. È una grande festa senza alcol né droga, si corre liberi e uniti. Con precedenza su tutto e su tutti". 

Il calcio le piace?

"Sono andato allo stadio qualche volta e sa, è come quando vai a pesca, non prendi nulla e ti dicono che non hai gli occhi da pesce. Io allo stadio vedevo tutte quelle persone che gridavano e chiedevo 'È successo qualcosa?'. 'Ma come è successo qualcosa, hanno segnato'. Non sono adatto al calcio perché non ne so nulla, ma in tv mi piace osservare le azioni da gol. Non ce n’è una uguale all’altra e certi giocatori segnano spalle alla porta. Non guardano mai la porta e io mi chiedo: come fanno?". 

Gli sport che preferisce fotografare?

"L’atletica. Nel salto cerchi l’apice, la tendenza al volo. Nella corsa è più o meno lo stesso con la proiezione in avanti". 

Che cos’è per lei la bellezza?

"Autenticità. Un’armonia raggiunta fra essere e apparire". 

Che cosa cerca ancora in uno scatto?

"Gli occhi, lo sguardo". 

Con la sua installazione Breathtaking di sguardi ne ha colti molti. Com’è nata l’idea?

"Da due foto, una di una foca e una di un delfino, soffocati dalla plastica. Me le ha spedite una delle mie figlie, Emma, chiedendomi: 'Che cosa puoi fare?'. Ho messo insieme un gruppo di persone famose che conoscevo e le ho fotografate come fossero all’ultimo respiro. In mezzo all’installazione c’è una bara piena d’acqua ma la mia non è una denuncia, è una chiamata di corresponsabilità. Conosciamo lo stato del pianeta, dove eravamo quando tutto questo stava succedendo? La democrazia ci permette di parlare e di non abdicare al nostro ruolo attivo". 

Proverebbe ancora a camminare su quel cornicione? 

"Gliel’ho detto, non ho la percezione del pericolo. Gli anni passano ma sono ancora lì".

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