BioWare torna dopo anni bui con Dragon Age: The Veilguard, ma è il gioco che serviva per il rilancio dello studio canadese? La nostra recensione.
Molto di Dragon Age: The Veilguard avviene nella schermata di creazione del personaggio. La storia del nostro personaggio – che sia un negromante, un assassino o un Custode Grigio – si combina con la razza, il sesso e la classe di partenza per creare un profilo a cui gli altri personaggi del mondo reagiscono dinamicamente.
C’è una fluidità incredibile: da guardiani delle necropoli, ci siamo sentiti a nostro agio in una serie di missioni ambientate nelle loro sale infestate. Un collega ha giocato nei panni di un Qunari non binario e ha ottenuto opzioni di dialogo esclusive quando parlava con un compagno non binario, il tipo di cose che potrebbero essere di conferma per qualcuno che sta faticando ad accettarsi.
Questo si estende a ciò che si dice nelle conversazioni. I personaggi ricordano ciò che abbiamo detto e reagiscono di conseguenza, con intere conversazioni che prendono una piega significativa a seconda di come le affrontiamo. Ma si capisce ben presto che sono solo sfumature superficiali.
Dragon Age: The Veilguard, sono solo parole? —
Qualunque cosa si faccia, il protagonista maschile è sempre un incrocio tra il Capitano Jack Sparrow e William Butcher. Eppure, crearne la storia consente un roleplay adeguato all’interno di quel framework. È un peccato che questo si estenda raramente al di là delle scelte fatte prima dell’inizio del gioco: molti dialoghi cambiano in base a chi abbiamo creato e ci sono piccole deviazioni dovute a ciò che diciamo, ma raramente abbiamo un impatto sul mondo grazie alle nostre azioni durante il gioco. Al centro della scena c’è sempre e comunque il background del protagonista.
È difficile anche staccare Veilguard dalla storia che l’ha preceduto. Non è il Dragon Age che ricordiamo, in cui missioni secondarie casuali portavano ad enigmi morali, in cui i demoni ti tentavano con il potere, in cui i personaggi erano coperti di sangue in ogni cutscene (sì, gli schizzi di sangue sono spariti adesso) e il mondo era pieno di orrori. Veilguard si impegna a fondo nel passaggio da dark heroic fantasy ad heroic fantasy e basta. Se Dragon Age: Origins era il film Blade del 1998, questo è Guardiani della Galassia.
Molti dei dialoghi di Veilguard hanno lo stesso tono sarcastico e pungente di molti film Marvel. Se questo incontra il vostro gusto, non avrete problemi; se invece, come noi, non ne potete più, sarà come se qualcuno vi sgranocchiasse delle patatine nelle orecchie. Ci sono momenti in cui traspare una scrittura eccellente, ma è incoerente: conversazioni avvincenti sulla religione, sulla storia e sulle interpretazioni di entrambe sono contrapposte a battute in cui la gente dice cose come “watch out, these guys go hard”, “were they… doing it?” o “taking the p*ss” – è come se questi personaggi sapessero cosa sia TikTok.
Se si creasse un diagramma di flusso del nostro divertimento giocando a Veilguard, somiglierebbe ad un monitor del battito cardiaco dopo uno sprint di 200 metri. I momenti positivi sono all’altezza dei migliori lavori di BioWare – lo spettacolo di alcune missioni principali supera persino l’apocalisse di Mass Effect 3, la grafica è qualcosa da un miliardo di dollari di budget, e i personaggi sono memorabili – ma i punti deboli sono molti e sparsi in tutta l’esperienza.
Combattimenti e… —
Ad un certo punto, abbiamo visto due dei nostri compagni – un Custode Grigio con un grifone personale e un assassino perseguitato da un demone dispettoso – che si scambiavano storie di guerra. Uno ha combattuto contro una palla di nugs (i conigli di Dragon Age) legati insieme in una massa di arti e denti dalla magia del sangue. L’altro cerca di superarlo con una storia di combattimento contro un katamari di tentacoli grande come un palazzo. Abbiamo trascorso l’intera conversazione chiedendoci come mai non potessimo vedere nulla di così oscuro, bizzarro e bello.
I demoni evidenziano molti dei problemi del gioco. Come nel caso del nostro assassino stregato, ci sono molti modi interessanti per inserire i demoni nella storia e nelle missioni secondarie, ma per la maggior parte del tempo sono solo mostri insensati con grandi barre della salute da ridurre in noiosi combattimenti. Se amate smanettare con gli alberi delle abilità, c’è molto da apprezzare nel modo in cui potete costruire il vostro personaggio fino ad ottenere delle build quasi rivoluzionarie – intenzionalmente – ma presto vi renderete conto che lo fate per poter saltare gli scontri il più velocemente possibile.
È possibile schivare, parare, attaccare da vicino, attaccare a distanza e rompere le guardie, ma c’è così tanto da vedere sullo schermo allo stesso tempo che è difficile capire cosa fare in ogni momento. Questo non rende i combattimenti difficili, ma li rende solo faticosi mentre si gira per il campo di battaglia sparando abilità. Persino il sistema di guarigione è stato semplificato, limitandosi a tre pozioni (se ne possono ottenere altre con l’equipaggiamento, le abilità e, indovinate un po’, con il processo di creazione del personaggio) che si possono ricaricare rompendo i vasi opportunamente distribuiti in ogni arena di combattimento. Si tratta di un design arcaico da sparatutto in terza persona, che di certo non conferisce al gioco un’aria da RPG.
Al di fuori dei combattimenti, ci sono una serie di terribili puzzle che si ripetono e allungano il tempo di gioco. In alcuni, si trasportano fantasmi verso dei recipienti; in altri, bisogna distruggere cristalli rossi in un ordine specifico. Poi ci sono di nuovo i puzzle dei cristalli, ma qui dobbiamo distruggere escrescenze pulsanti. Queste appaiono frequentemente sia durante l’esplorazione che nelle missioni principali e secondarie, a volte uccidendo il ritmo. In una missione, un drago gigantesco era nelle vicinanze e il nostro party stava correndo per salvare degli innocenti. Abbiamo ucciso ondate e ondate di maghi del sangue e poi è arrivato il momento del puzzle dei cristalli, una deviazione di cinque minuti in cui dovevamo fermarci a cercare i cristalli magici per abbassare una barriera, togliendo ogni briciolo di tensione alla scena. È un videogioco incredibilmente curato e con pochissimi bug, ma non è che un gioco debba per forza avere dei bug per causarci noie. E a tal proposito…
Un mondo poco vissuto —
Non ci sono livelli suggeriti per le missioni secondarie, quindi l’unico modo per scoprire se si è sotto-livellati è andarci e farsi calpestare in un combattimento inutile o fare a pezzi tutti un combattimento che dura troppo a lungo. Per rendere le cose ancora più confuse, solo alcuni nemici hanno il loro livello accanto alla barra della salute, mentre altri non ce l’hanno.
Per aprire il registro delle missioni bisogna andare sulla mappa, per qualche motivo, e alcuni forzieri avvelenano a caso, ma se siete avvelenati il gioco pensa che siate in combattimento e non permette di equipaggiare ciò che abbiamo appena ottenuto finché il veleno non scompare. Il salto e l’interazione sono sullo stesso pulsante, e chi ha preso questa decisione dovrebbe semplicemente finire in prigione.
Ok, la prossima lamentela è un po’ più lunga, quindi tenetevi forte. Ogni città visitata è una serie di corridoi lineari con tristi NPC disseminati in giro. In queste aree centrali si può interagire a malapena con qualcuno, ma ci sono dei negozi, ognuno dei quali è contrassegnato dall’icona di un’armatura. Solo che solo alcuni di essi vendono armature. Troverete anche venditori che vendono cipolle e pesce – sì, potete acquistare cipolle e pesce.
Cosa ci si può fare con le cipolle e il pesce? Venderli. Tutto qui. È tutto quello che potete fare.
Ci sono decine e decine di oggetti spazzatura che non servono a nulla se non a venderli, ma che per qualche motivo sono presenti nei negozi. Sembra quasi che BioWare si sia ricordata un po’ troppo tardi di stare facendo un gioco di ruolo, e abbia inserito i negozi extra per far sembrare le città un po’ meno morte e artificiali.
Un collage targato BioWare —
È un peccato, perché il gioco è splendido. È bellissimo da vedere, da far cadere la mascella. È senza dubbio il gioco più bello che BioWare abbia mai realizzato. Dalla città in stile veneziano alla spiaggia spazzata dal vento, c’è così tanta varietà visiva, ed è tutto stupefacente. Solo che non fa nulla di interessante con queste bellissime ambientazioni: la profondità reale è stata sacrificata per una grafica superficiale. Anche il modo in cui sono collegate tra di loro è un pasticcio.
In Origins si sceglievano i luoghi da una mappa, ma si facevano dei progressi tangibili su quella mappa. Qui si cammina dentro specchi magici che si collegano al mondo esterno, quindi non c’è alcun senso di coesione tra le varie location. Mancano anche le transizioni (ricordate come si lasciava un pianeta sulla propria nave in Mass Effect?). Ad un certo punto, ci trovavamo nella città in stile Venezia e stavamo parlando di salvare qualcuno da una prigione sottomarina. Un minuto dopo, ci ritroviamo nella prigione, sott’acqua, senza alcuna spiegazione di come ci siamo arrivati. L’intera vicenda risulta un po’ disarticolata, e le chiusure dei capitoli a fumetti non riescono a compensare.
Il tutto è accentuato dalla sensazione di clinicità che si respira. La struttura è quella tipica di BioWare, che prende in prestito le parti migliori dai suoi giochi precedenti. Questo significa che saprete quando è il momento di consumare una relazione che state coltivando. Abbiamo già fatto tutto questo in passato, anche se non con questa grafica. Quanto è comodo che ogni compagno che reclutiamo abbia un legame con ciascuna delle fazioni amiche che incontriamo?
C’è molto di Mass Effect in Veilguard. È come se lo sviluppatore canadese avesse preso alcune delle parti migliori dei migliori RPG BioWare e le avesse schiacciate una contro l’altra, il che non è una lamentela. La missione finale è un mix tra i finali di Mass Effect 2 e 3, ed è uno dei migliori finali che abbiamo mai visto in un gioco: un vero spettacolo. Ci sono anche molti momenti accattivanti per i personaggi (a patto di ignorare Neve, che sembra stia leggendo un copione durante un elogio funebre), e le piccole riunioni con il team alla base sono tutto quello per cui è nota BioWare. Ci sono sprazzi di brillantezza, ma c’è sempre qualcosa di altrettanto brutto a bilanciarli.
Dragon Age: The Veilguard, il verdetto —
Il colpo di scena verso la fine del gioco ne è l’esempio perfetto. Avevamo la bocca spalancata di fronte a ciò che si stava svolgendo davanti ai nostri occhi, guardando ogni personaggio che amavavamo avere il suo momento di gloria in una serie di cutscene che rivaleggiano con la prima volta che si vede la battaglia del Fosso di Helm ne Il Signore degli Anelli. Ma poi BioWare tira fuori uno dei twist più stupidi che abbiamo mai visto, un colpo di scena che non solo non ha senso, ma che priva i giocatori di una ricompensa emotiva che è stata costruita nel corso di più capitoli della serie. È veramente deprimente – non perché sia triste, ma perché triste non lo è. È un peccato e sminuisce un finale altrimenti impeccabile.
Ci sono momenti in cui Veilguard è il miglior gioco di BioWare, ma è impantanato in tutto il resto. Il nostro consiglio sarebbe saltare i contenuti secondari inutili e dedicarsi alle brillanti missioni principali ma, facendolo, sarete puniti nella missione finale. Quindi non c’è altra scelta se non quella di passare velocemente da un combattimento all’altro, mentre vi chiedete dove siano i dilemmi morali in una serie nota per le scelte dei giocatori. Ne sentiamo l’odore, ma dov’è la carne? Come il personaggio che abbiamo creato all’inizio di questo viaggio, non riusciamo a separare Veilguard dalla sua saga, e questo non è il Dragon Age che ricordiamo.
Scritto da Kirk McKeand per GLHF
28 Ottobre 2024 (modifica il 28 Ottobre 2024 | 13:41)
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