Un concept nuovo nel suo genere, che funziona e diverte. E che sembra adatto a... Mario
Paolo Sirio
31 luglio - 22:12 - MILANO
Nel gaming di oggi, spesso criticato per la sequela di iterazioni familiari che ci vengono propinate, Donkey Kong Bananza rompe in più di un modo le consuetudini del genere di riferimento e di buona parte del panorama. Dimenticatevi le trame complesse o le narrazioni profonde che cercano di giustificare ogni singolo pixel su schermo. Qui, l'introduzione di una "lore" per Pauline da Super Mario Odyssey è un pretesto, un sussulto narrativo che svanisce non appena l’iconico gorilla di Nintendo si prende la scena. Il vero valore di Donkey Kong Bananza non risiede nelle sue premesse, ma nella sua esecuzione. È un'esperienza che si rivela in tutta la sua follia nel momento esatto in cui smetti di porti domande e ti abbandoni all'istinto primordiale di distruggere, esplorare e, soprattutto, divertirti. E si fonda su un interrogativo che potenzialmente ribalta le convenzioni del genere: cosa succederebbe al concetto stesso di platform 3D, se anziché salire e agire in un percorso fatto di salti in alto, provassimo a distruggere l’ambiente per scendere sempre più giù? Al netto dei sofismi, quello di Bananza è un gameplay croccante, con le mani di Donkey Kong che sembrano sacchetti di popcorn pronti a scoppiare quando prendono a pugni (letteralmente) ogni possibile livello del terreno - o lo fanno saltare usando esplosivi e altre amenità. Lo farete così compulsivamente da aver bisogno di una pausa per le vostre dita di tanto in tanto, con buona pace del tunnel carpale. La cosa sorprendente è che ogni livello ha una sua meccanica di base, alcune più riuscite di altre, e modi di stravolgere come si era giocato fino ad allora.
lo scossone
—
Più volte abbiamo avuto l’impressione che qualcosa non ci tornasse, che quel divertimento fosse effimero, di pancia, che non funzionasse sul lungo termine. Cerchiamo ancora un perché a questa sensazione, da individuare presumibilmente nella natura un po’ arruffona del platforming in senso stretto: optando per un approccio così caciarone, era del resto inevitabile che qualcosa in termini di precisione andasse perduto. La differenza che c’è tra Donkey Kong e il Game of the year dello scorso anno Astro Bot, che invece a quella precisione anelava, è un po’ quella che passa da Baldur's Gate 3 a Starfield. Il platform Sony è bello da morire e divertente, sia nel gameplay semplice ma fluidissimo che nel citazionismo estremo; quello di Nintendo consente di cambiare nelle fondamenta la costruzione dei livelli, spaccando la roccia per scavarsi cunicoli e arrivare alla propria meta fino ad alterare profondamente la costituzione delle aree di gioco. Una peculiarità che viene utilizzata non solo per la ricerca, che diventa rapidamente ossessiva, del collezionabile, e non solo per il platform, ma anche per alcune sfide a base di fisica che rivelano un ingegno non dissimile da quello lodato negli ultimi Zelda. È qui che emerge un'altra sorprendente somiglianza: in Donkey Kong Bananza, l'arrampicata si avvia in modo estremamente naturale, senza la pressione di tasti, proprio come avviene in The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Tears of the Kingdom.
l'eredità di zelda
—
Questo movimento fluido e intuitivo, qui per ovvie ragioni senza i vincoli di resistenza che avrebbero reso pretenziosa una scalata basata sulla resistenza fisica del gorilla, contribuisce al flusso libero dell'esplorazione. Un flusso che, a volte, cozza purtroppo con le inquadrature un po’ pasticcione, che possono ostacolare la visione e rendere meno immediata la comprensione dello spazio circostante. Un piccolo neo in un sistema altrimenti ben congegnato. E proprio a Zelda l’intero nuovo progetto del team di Super Mario Odyssey sembra rifarsi, talvolta a chiare lettere. Unendo il meglio di questi due mondi in una spassosa formula che incrocia semi-open world e puzzle platform, Nintendo si conferma un’autentica fabbrica della creatività, per dirla con un ossimoro. Le idee vengono create in blocco e distribuite per tutte le principali proprietà intellettuali - che sia Splatoon che nasce da una costola di Super Mario Sunshine, o i sacrari di Breath of the Wild riproposti qui in chiave più leggera, non c’è un singolo concetto di game design che vada sprecato, e possibilmente riutilizzato con intelligenza.
un gioco difficile?
—
Un aspetto che merita una menzione speciale sono le boss fight di Donkey Kong Bananza. Queste non sono mai eccessivamente difficili o prolungate, ma si rivelano sempre estremamente creative e appaganti da affrontare. Ogni scontro con un boss introduce meccaniche uniche, spesso legate alle capacità distruttive di Donkey Kong o alla manipolazione dell'ambiente, trasformando le battaglie in un vero e proprio puzzle d'azione. Questa creatività si estende alle sfide secondarie disseminate nel gioco, che segnano segnano un piccolo grande passo in avanti per Nintendo: la casa di Kyoto pare aver iniziato a mettersi alle spalle l’eccessiva facilità che ha caratterizzato la maggior parte dei titoli first-party per Switch 1, per cui anche le produzioni più inventive, o più accattivanti esteticamente, finivano vittime della noia nel medio-lungo periodo. Non parliamo certo di un souls-like, ma è comunque un dettaglio da tenere d’occhio per il futuro di una console che, casualità?, in tanti chiamano maliziosamente Switch “Pro”. A tal proposito, non sappiamo dire quanto ci fosse bisogno di una Switch 2 per far girare King Kong Bananza, visto che il comparto tecnico (qualche scatto qua e là, e un’inquadratura talvolta problematica, come già accennato) e nemmeno l’esperienza ci sono parsi tanto differenti. Quel che è sicuro, però, è che la console lanciata a giugno ha ora la sua prima killer application.
il verdetto
—
Probabilmente, abbiamo di fronte uno dei platform 3D più creativi di sempre, a principiare da come “scende” anziché “salire”. Fa strano che non sia di Mario forse, visto che un concept così forte l’avremmo visto funzionare bene adattato in qualche modo all’idraulico baffuto, ma questo non fa altro che aumentare l’attesa per la sua prossima grande avventura.