L'ex giocatore e allenatore giallorosso a Dazn: "Io sapevo che la squadra sarebbe esplosa. Con i Friedkin c'era rispetto, ma non doveva finire così, non lo meritavo"
L’orologio a pendolo scandisce i minuti, come avviene nei momenti topici di Stranger Things. Che Daniele De Rossi guarda per “rilassarsi, perché se leggo un libro penso troppo agli schemi”. L’attuale allenatore del Genoa, infatti, lunedì prossimo affronterà la Roma. Quasi un ossimoro in una vita tutta spesa per i colori giallorossi tra curva, campo e panchina. Quella che gli è mancata per più di un anno dopo l’esonero dal club giallorosso. E proprio di quei momenti Daniele non aveva mai parlato. Lo ha fatto in queste ore caldissime al suo amico di una vita Massimo Ambrosini, in una intervista a Dazn.
De rossi, ferita aperta
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"In molti mi hanno rifiutato come allenatore - ammette subito De Rossi - Quando l'ho fatto io, era solo per dire no alla categoria o dove non vedevo chiarezza. Sia a Roma che a Ferrara ho avuto problemi con i dirigenti, niente di clamoroso, ma problemi. Non voglio, però, che passi il concetto che io abbia problemi con i dirigenti”. Di certo sono rimasti molti rimpianti. "Mi dispiace per come è andata. La Roma ora sta avendo un exploit e io lo sapevo che sarebbe avvenuto. Avevo un progetto che dopo tre anni avremmo potuto lottare per lo scudetto. Il gruppo era forte”. A quel punto Ambrosini lo incalza: “Non ti credevano?”. De Rossi però lo frena subito: ”No, i presidenti erano bravi con me ed avevo grande libertà di manovra sulle scelte. C'era grande rispetto da parte dei Friedkin, ma non doveva finire così. Io e il mio staff non lo meritavamo. Era troppo presto. Io ero a posto con la coscienza e non ho mai tradito. Non ho mai usato il mio potere che avevo in città, sui tifosi. Perché se mi fossi tradito non sarei stato orgoglioso. Quando vieni esonerato, smetti di vivere quella roba lì che ti piace. E c’è anche il senso di incompiutezza”. De Rossi ha anche sperato in un ripensamento. “Ma avevano fatto una scelta chiara ed evidente - ammette il Campione del Mondo - Io sarei tornato subito, ma forse non sarebbe stato il giusto passo per me”.
l'addio al calcio
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L’altro dolore per Daniele era arrivato sul campo, nei giorni del mancato rinnovo da calciatore. “Ma fu meno doloroso di quel che si pensa - ammette De Rossi - Volevo giocare a vita a Roma, ma ero anche curioso di fare esperienze. Avevo capito che qualcosa stava succedendo e ho preteso di saperlo. Ero curioso e poi volevo salutare i miei tifosi. Per quello chiesi a Guido Fienga di dirmi le cose. Avevo due alternative: convincerli, ma a livello di dignità non volevo. Volevo uscire con eleganza, non te la do la soddisfazione di stare stramazzato sotto la curva a piangere. Io rappresento un bel pezzo di Roma e del calcio italiano, cosa mi cambiava un anno in più?". De Rossi è molto onesto nell'ammettere: "Ero preparato anche perché avevo visto la fine della carriera di Francesco (Totti, ndr). Io ne ho parlato mille volte con lui, non volevo stare così male e ho provato a prepararmi. Io ho smesso di giocare a calcio e dopo due mesi c'è stato il Covid: smetti col calcio, smetti di uscire, smetti di vedere persone... e per un attimo mi sono chiesto cosa stesse succedendo". De Rossi racconta poi di essere stato chiamato dal Sassuolo di De Zerbi e dalla Fiorentina di Montella: "Ma io non volevo giocare contro la Roma".
il ritorno
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Lo farà adesso, non da calciatore ma da allenatore. “Appena ho firmato sono subito andato a vedere quando c'erano la Roma e la Lazio - sorride Daniele - Sono curioso del mio ritorno all'Olimpico. Ho sempre desiderato che la Roma vincesse, io invece ora devo lavorare per farla perdere. Una cosa contronatura. Adesso la guardo da collega, da ex giocatore, se vince sono contento per loro”. Infine i ringraziamenti. “Chi mi ha ispirato da allenatore? Luis Enrique, mi piaceva quello che faceva, ero innamorato di come allenava. A me piaceva tanto quello che diceva, però io mi sono sempre legato alla persona, all'essere umano. Alle spiegazioni che ti dava o anche quando non te le dava”. E oggi? “Un riferimento è Enzo Maresca, che sono andato a vedere, e anche Andoni Iraola, entrambi mi affascinano. Non smetto però di guardare Spalletti, Gasperini e Conte”.




