Da Hagi a Marin passando per Mutu: ecco i romeni che si sono presi l'Italia del pallone

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Non solo Chivu fra i protagonisti in prima linea nel calcio italiano: i primi romeni in Serie A nel Dopoguerra, poi la colonia bresciana allenata da Lucescu

Furio Zara

Collaboratore

13 dicembre - 17:39 - MILANO

Gheorghe Hagi è stato il più grande di tutti, un Cenerentolo (calzava il 39, pianta larga, calcagno duro come il marmo) dal viso agro del contadino inurbato che, nel piede sinistro dal contorno psichedelico, custodiva l’antico segreto del gioco del calcio. Era un re, si comportava da tale. Borioso, arrogante, geniale. Indossava la maglia numero 10 come si porta un mantello, con la stessa disinvoltura. Fece i fuochi d’artificio nel Brescia, due stagioni a metà Anni 90. Arrivava dal Real Madrid, dopo l’Italia tornò in Spagna, al Barcellona: già questa sequenza di squadre dovrebbe bastare a fotografarne l’unicità.

I DOLORI DI PETRESCU

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L’almanacco individua ottanta calciatori romeni in Serie A. Adesso, il più celebre è Cristian Chivu, già difensore di Roma e Inter, oggi sulla panchina nerazzurra. Prima, insieme e dopo di lui, la Romania è sempre stata per la Serie A un bacino di scoperte interessanti. Ogni calciatore una storia, ogni storia un destino più o meno compiuto. Dan Petrescu arrivava dalla Steaua Bucarest, aveva già disputato una ventina di partite con la Romania. Alla fine del primo allenamento con Zeman a Foggia, si fermò con la schiena piegata dalla fatica e, ansimando, maledì chi glielo aveva fatto fare. Radu, nome Ionut, il portiere, è diventato un meme, colpa di una svirgolata e di uno scudetto sfumato - così dissero nel 2022 i tifosi interisti inferociti - per colpa sua, anche se tutta sua, la colpa, proprio non fu. Un altro Radu, il terzino Stefan, è stato una bandiera della Lazio e, con le sue 349 presenze in A, vanta la militanza più lunga di un romeno nel nostro campionato. Il Giovane Favoloso Adrian Mutu, dopo aver furoreggiato in patria, con la Dinamo Bucarest, arrivò all’Inter di Lippi, all’alba del Duemila. Era la squadra giusta nel momento sbagliato. Dovette fare un passo indietro, ripartire dalla provincia, Verona. Fu lì che sbocciò, come un fiore consolato da un sole improvviso. Parma, Juve, la tappa migliore a Firenze, quindi Cesena: lampi e pomeriggi grigi, la squalifica perché positivo alla cocaina, l’inferno, la rinascita. Con i suoi 103 gol in campionato, Mutu è a tutt’oggi il calciatore romeno più prolifico. Voleva essere un duro - e voleva anche essere Mutu - un altro talento, Dennis Man, ma la sua recente esperienza al Parma è stata segnata da gesti tecnici di prim’ordine e irritanti pause. Il tetro Ciprian Tatarusanu soffriva invece di astigmatismo. Non il massimo per un portiere. È rimasto al Milan, da riserva, tre stagioni, compensando - così assicuravano i dottori del club - con una messa a fuoco spontanea, attuata strizzando gli occhi quando scorgeva l’attaccante avversario scoccare il tiro.

LA COLONIA BRESCIANA

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Florin Raducioiu è stato un contropiedista imprendibile. Era talmente veloce che, nei servizi televisivi dell’epoca, finiva spesso fuori dal riquadro della telecamera. Un centravanti completo, con un solo difetto. Quando entrava in area di rigore, black out totale. Gli si spegneva la lampadina. Sbagliava nei modi più impensabili, sempre per eccesso, mai per difetto. In Italia ha giocato con Bari, Milan, Verona e Brescia. La Gialappas’s Band lo celebrò come Pippero e anche oggi viene ricordato per i suoi tiri a boomerang. Insieme ai connazionali Hagi, Ovidiu Sabau e Dorin Mateut - con allenatore Mircea Lucescu - ha dato vita a una piccola enclave romena nel Brescia di metà Anni 90. Gheorghe Popescu, detto Gică, è uno dei poster eterni del calcio del suo Paese. Ha vestito le maglie dei più rinomati club europei (Psv, Tottenham, Barça, Galatasaray) e, in Italia, lo ricordiamo, già 34enne, a Lecce, monumentale nell’incedere, eppure tatticamente perfetto. I tifosi del Milan, per Cosmin Contra avevano trovato un soprannome beffardo: Nosferatu. L’ala destra Marius Lacatus, invece, è un nome che ci riporta alla Fiorentina post Italia 90. I tifosi della Steaua, dove si era messo in luce, lo adoravano. L’avevano battezzato “La Bestia”. La bella, nel senso della moglie Mariana, era la sua tifosa più agguerrita e non esitava ad affrontare a brutto muso chi osava contestare il marito.

FABIAN NEL GRANDE TORINO

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I primi romeni nel Dopoguerra erano stati - stagione ’47-48 - Nicolae Simatoc, che firmò per l’Inter, e Josef Fabian, nativo della Transilvania che venne ingaggiato dal Torino, vinse uno scudetto nella leggendaria squadra di Valentino Mazzola, quindi passò prima alla Lucchese e poi al Bari. Oggi in A ci sono il mediano del Pisa Marius Marin, il portiere dell’Udinese Razvan Sava e il trequartista del Genoa Nicolae Stanciu. Quest’ultimo è quello che sembra avere il bagaglio tecnico più promettente. Ce l’aveva, un repertorio variegato, anche Viorel Nastase, figurina del Catanzaro d’inizio Anni 80, quando in Italia riaprirono le frontiere. Stella della Steaua, nel 1979, dopo una partita di Coppa delle Coppe a Berna, contro lo Young Boys, una notte sparì e si rese irreperibile. La Romania all’epoca era sotto la terribile dittatura di Nicolae Ceausescu. Darsi alla latitanza costituiva una delle ipotesi al vaglio di chi ne aveva la possibilità. Nastase comparve un paio di giorni dopo all’ambasciata svizzera, chiedendo asilo politico. Resta fermo un anno, quindi firma per il Monaco 1860, ben figurando in Bundesliga. Nell’estate dell’81, il presidente del Catanzaro, Adriano Merlo, per ingaggiarlo sborsa 400 milioni di lire. Donne compiacenti, serate al night, alcol, vizi vari: Nastase amava la bella vita. In campo: apatia totale. Resta due anni e mezzo a Catanzaro tra A e B, segnando tre sputi di gol e infine dileguandosi da un giorno all’altro, attraversando come d’incanto muri e frontiere, a metà stagione, nel tempo sospeso tipico degli incompiuti.

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