
L'ivoriano dei Seattle Sounders è cieco da un occhio, ma nella storia del calcio sono stati tanti i grandi a cui mancava qualcosa: da Garrincha a Jordan, tutte le storie
Qualcosa in più, qualcosa in meno. Ogni mancanza suggerisce una traiettoria di vita: sia gloria a chi trasforma l’imperfezione nel piedistallo della propria arte. C’è stato un calciatore uruguaiano di nome Hector Castro, all’epoca in cui giocò - un secolo fa - era molto conosciuto. Per rendere l’idea: un top-player, un centravanti dallo sguardo fiero, dal piglio bellicoso e dal gol facile, idolo del Nacional. Con la Celeste vinse la Copa America del 1926, I Giochi olimpici di Amsterdam del 1928 e il Mondiale casalingo del 1930. Divenne noto con il soprannome di “El Divino Manco”. Era senza una mano. L’aveva persa a tredici anni, stava lavorando nella falegnameria del padre, gli sfuggì il controllo della sega elettrica, questa gli recise l’avambraccio. Non si perse d’animo. Nelle aree di rigore “El Divino Manco” si faceva largo usando il polso destro come perno d’appoggio sul corpo dell’avversario, per poi sfuggirgli di lato.