Cosa pensano gli italiani degli ultras? Il nostro sondaggio: non solo violenza ma...

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Dal sondaggio SWG commissionato Gazzetta emerge sfiducia dopo l’indagine Doppia Curva e il caso Claris. Ma per una parte dei giovani il tifo ha un valore sociale che va oltre lo stadio

Vincenzo Di Schiavi

Giornalista

22 maggio - 09:22 - MILANO

L’inchiesta “Doppia Curva” che ha messo a nudo i legami dei vertici ultras di Inter e Milan con la criminalità organizzata. Il caso Riccardo Claris, il tifoso dell’Atalanta ucciso in una rissa di strada, divampata per motivi di fede calcistica. Ma anche passione, tifo e colore. Insomma, curve e ultras, una delle tante facce del calcio. Fenomeno sociale, complesso, intergenerazionale che da oltre 50 anni accompagna il gioco più amato dagli italiani. Ma da loro, dagli italiani, giovani e non, come viene percepito il mondo ultras? Ce lo spiega un articolato sondaggio Swg chiesto dalla Gazzetta. Con risvolti anche sorprendenti. 

contrasto

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L’opinione pubblica, per esempio, si mostra divisa tra condanna e riconoscimento di un ruolo sociale degli ultras. La percezione è ambivalente: se da un lato sono visti come generatori di violenza e intimidazione negli stadi, dall’altro si fa sempre più spazio l’idea che possano fungere da rappresentanti degli interessi dei tifosi. Il fronte critico resta corposo, ma colpisce di contro la crescita, rispetto al 2024, dell’idea che il mondo ultras sia garante degli interessi dei tifosi rispetto al calcio business (+9%), che svolga un ruolo sociale che va ben oltre lo stadio (+10%), radicando inoltre un senso di appartenenza non riconducibile solo alla squadra del cuore (+3%). 

Doppia Curva e Claris

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L’inchiesta “Doppia Curva” ha inevitabilmente rafforzato un sentimento di sfiducia verso certe logiche del tifo organizzato, peraltro criticato anche all’interno delle curve di tutta Italia. Tuttavia soprattutto tra i più giovani, prevale una lettura più “clemente” del fenomeno: la presenza di dinamiche illegali viene riconosciuta, ma attribuita a una minoranza (12%). L’invito è dunque quello di non generalizzare, etichettare e strumentalizzare episodi isolati, attribuendoli all’intero movimento ultras. D’altro canto resta radicata la convinzione che la triangolazione tra quelle minoranze, club e attività criminali venga ignorata se non addirittura protetta con comportamenti omertosi (47%). La morte di Riccardo Claris è invece un caso molto particolare, divampata con un pretesto calcistico ma legata a una matrice di delinquenza quotidiana. L’episodio però ha riaperto il dibattito sulla cultura del tifo, evidenziando tre derive: un clima in cui l’odio supera la passione sportiva (36 per cento), una mentalità ultras che tende alla normalizzazione della violenza (29%) e il fallimento del sistema calcio nella promozione di valori sani (18%). 

Riconoscimento

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Ma nonostante ciò la tribù del calcio, con i suoi riti tribali e le sue derive, descritta già oltre 40 anni fa da Desmond Morris, ormai un classico della sociologia, continua ad avere un ruolo legittimo e riconosciuto dai tifosi. Molti dei quali ritengono sorprendentemente condivisibili le richieste e il modus operandi degli ultras in materia di “gestione”, biglietteria e comunicazione, in quanto depositari autorevoli della storia e della tradizione dei club. Fino ad arrivare anche al monitoraggio del comportamento dei giocatori in campo. Tutto plausibile, per gli appassionati interpellati, a patto che non si degeneri in eccessi. Gli unici paletti riguardano l’area tecnica. Le ingerenze degli ultras, documentate peraltro dalle intercettazioni delle indagini che hanno coinvolto diverse curve italiane, non trovano grande riscontro nel panel dei tifosi. Acquisti, cessioni, moduli di gioco e scelte di formazione devono restare fuori dalla sfera degli ultras. E delle curve.

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