Il supercoach alla vigilia della sfida col serbo: "Un mese fa avrei firmato per essere in finale, ma non so se la sua condizione è sufficiente per vincere il torneo. Musetti? Non mi sorprende"
Dal nostro inviato Riccardo Crivelli
5 giugno - 20:01 - PARIGI
Alla vigilia della semifinale del Roland Garros tra Sinner e Djokovic, ecco le parole del tecnico australiano Darren Cahill, che segue l'azzurro dal giugno 2022.
Coach Cahill, cosa bisogna aspettarsi dalla sfida con Djokovic?
"È eccitante perché si tratta di sfidare uno dei grandi se non il più grande di sempre. Se un mese fa mi aveste chiesto di firmare per la finale del Roland Garros, avrei detto: dov'è che devo farlo? Quindi per noi è molto eccitante, e anche per Jannik è lo stesso".
Ma in percentuale Jannik in che stato di forma è?
"Gli mancano ancora piccoli dettagli, come l’anticipo, la capacità di muoversi in fretta, la reattività, l'anticipo. Deve entrare nel ritmo della gara, recuperare automatismi, ma migliora ogni giorno. Non so se è già sufficiente per vincere il torneo, ma la cosa principale e non guardare troppo in là. Ogni turno la sfida diventa più tosta, e non ce n’è una più dura che affrontare Djokovic in semifinale. Lo conosciamo, ha vinto 24 Slam. E a giudicare da come ha giocato contro Zverev, non sente affatto i suoi 38 anni".
Un match lungo chi può favorire? Il record al quinto di Jannik non è favoloso.
"Jannik ha vinto 19 match di fila negli Slam, e lì ogni match potenzialmente va al quinto. A volte più chedi fatica fisica si tratta di fatica mentale, e Jannik è bravissimo a gestirla. Inoltre gioca un tipo di tennis molto fisico, e tre ore di tennis alla Sinner equivalgono a 5 ore per altri giocatori. È proprio questo il nostro obiettivo: arrivare a mantenere mentalmente, fisicamente e a livello di gioco, uno standard d’élite per quanto più tempo possibile. Certo, ci saranno giorni in cui non giocherà bene, ma anche in quei casi, se perdi, impari. Torni più forte e riparti".
È d'accordo che Sinner e Alcaraz sono in un'altra dimensione o in realtà il livello medio si è alzato?
"La componente mentale, a questi livelli, è fondamentale. Tutti giocano bene. Se guardi ai primi 20 al mondo, ognuno di loro è capace di grandi prestazioni: chiunque può vincere in un determinato giorno. Ma i giocatori che sono forti mentalmente riescono a superare le difficoltà. Che si tratti di un fastidio fisico, di una piccola mancanza di fiducia, o di un problema durante il match, riescono a metterlo da parte e a vincere la partita grazie ad altri punti di forza. Sono questi i veri campioni. Negli ultimi anni, lui ha imparato proprio questo: non ogni giorno sarà perfetto, ma bisogna comunque trovare un modo per vincere. E ha fatto un ottimo lavoro da questo punto di vista".
Meglio lavorare sui punti forti o sui punti deboli?
"Una cosa di cui parliamo spesso, noi allenatori, è che bisogna lavorare sull’80% dei propri punti di forza e sul 20% dei punti deboli. All’inizio è così, perché lavorare sui tuoi punti forti ti fa vincere e ti diverte. Ma quando arrivi tra i primi dieci al mondo, i migliori sono bravissimi a trovare le tue debolezze. Se hai un rovescio debole o transizioni mal gestite, loro le sfrutteranno. Per questo abbiamo lavorato tanto sulle sue aree più deboli, per farle diventare affidabili nei match importanti. È come uno sport di squadra. In casa, nel calcio, diciamo che si vincono i campionati con i giocatori peggiori, perché tutte le squadre hanno dei fuoriclasse, ma le migliori sanno approfittare delle debolezze altrui. Vale lo stesso nel tennis: se migliori le tue debolezze, arrivi al punto di non dovertene più preoccupare e puoi esprimere i tuoi punti di forza con fiducia. Simone Vagnozzi ha fatto un lavoro magnifico da questo punto di vista".
Qual è la cosa che l'ha sorpresa di più fin dal primo giorno con Jannik?
"La sua personalità. Non lo conoscevo bene prima di iniziare a lavorare con lui, ma ha un gran senso dell’umorismo. Non so se riuscite a vederlo spesso, ma è un ragazzo incredibilmente divertente, molto umile, come i suoi genitori. Prende il tennis molto seriamente, ma sa anche divertirsi e godersi la vita. Capisce che il tennis è solo una parte della sua vita, che occupa una fase limitata, tra l’adolescenza e i trent’anni. Dopo ci saranno cose ancora più importanti. È per questo che, negli ultimi 12 mesi, ha gestito tutto così bene: riesce a mettere le cose in prospettiva. E poi la sua maturità, a 23 anni, è ciò che mi ha colpito di più. Io non ero così a quell’età. Ha la testa a posto, è stato cresciuto benissimo dai suoi genitori e ha i piedi per terra. Sa godersi la vita, ma ha le giuste priorità".
Che cosa pensa di Musetti?
"Non mi sorprende: se me lo avessi chiesto cinque anni fa, vi avrei detto che Lorenzo aveva un potenziale molto alto. E ora stiamo iniziando a vedere un Lorenzo più maturo, più completo, più realizzato. È il giocatore che ci aspettavamo da tempo, e ha ancora tanta carriera davanti. Mi aspetto molti altri momenti importanti da lui. E che vinca degli Slam".
Che cosa manca a Sinner, se gli manca qualcosa, per essere al livello di Alcaraz sulla terra?
"È una domanda difficile: amo entrambi i ragazzi. Sono entusiasta della rivalità che ci sarà tra loro nei prossimi dieci anni. Il nostro compito, come allenatori di Jannik, è quello di farlo continuare a migliorare. Vogliamo che, ogni volta che entra in campo, che sia contro Carlos o chiunque altro, abbia sempre la miglior possibilità di vincere. E questo non cambierà mai".
Che cosa succederà a fine anno tra lei e il team?
"Non ci sono novità rispetto a prima".