Il presidente ha deciso di far morire la società, scaduti i termini per i versamenti. Il capitano Bisoli: "Calpestati 114 anni di storia"
Una ripicca, non certo una decisione ponderata. Massimo Cellino ha deliberatamente fatto morire il Brescia. Ha deciso di non iscriverlo, punto e basta. Malgrado nei giorni scorsi abbia combattuto contro la Figc che l’ha penalizzato di 4 punti (più altri 4 la prossima stagione) per non aver rispettato due scadenze (il ricorso d’appello sarà discusso martedì, ma a questo punto sarà inutile) facendolo così retrocedere in Serie C. E malgrado stesse trattando con un fondo Usa, attraverso il suo ex d.g. Marroccu e un fedele sponsor, per un’operazione che sarebbe dovuta andare in porto prima della scadenza per le iscrizioni, fissata alla mezzanotte di ieri. Niente da fare, alla fine Cellino da Londra ha staccato i telefoni, ha scaricato legali, commercialisti e consiglieri, ha rimbalzato i giocatori, i dipendenti del Brescia e i pochi fedeli che lo cercavano aspettando buone notizie in extremis. La decisione, urlata nei giorni precedenti in uno dei suoi consueti scatti d’ira, è diventata realtà: Cellino non ha iscritto il Brescia.
la strategia
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Contestato da mesi, inviso alla piazza, invitato in tutti i modi a non farsi più vedere in città dopo la salvezza raggiunta (sul campo) all’ultima giornata, Cellino ha subìto un brutto colpo quando gli è stato contestato il mancato pagamento di Irpef e Inps di febbraio e aprile, sostenendo di essere stato vittima di una truffa (cosa per la verità non da escludere). Da lì la decisione di vendere, ma la trattativa non è mai decollata. Per iscrivere la squadra avrebbe dovuto versare circa 3 milioni: un mese di stipendi, uno di Inps e due di Irpef per quasi 2,5 milioni, più la prima rata della rateizzazione (definita ma non firmata) per gli arretrati da 2,4 milioni con l’Agenzia delle Entrate, ossia circa 400 mila euro. Una volta iscritto, Cellino avrebbe potuto fare altri ragionamenti vendendo i giocatori sotto contratto, rientrare dell’esposizione, ristrutturare il debito e trovare una soluzione per il futuro. Un professionista di fama nazionale aveva già pianificato tutto. Invece no: ha voluto fare morire il club.
la citta'
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Così a Brescia si è vissuta una giornata di preoccupazione, culminata presto nella rassegnazione. Forse anche con un po’ di autocritica, chissà. Di sicuro senza piangersi troppo addosso, perché il bresciano non è fatto così. Il sindaco Laura Castelletti ha programmato un tavolo con Lumezzane, Ospitaletto e Feralpisalò, le altre società bresciane oggi in Serie C (nessuna provincia italiana ne ha tante), per trovare una soluzione comune. Ma con poche speranze. Brescia è la provincia più ricca d’Italia, ha imprenditori che potrebbero acquistare qualsiasi club di Serie A, ma non si sono mai avvicinati a quello del loro capoluogo perché la pressione ambientale è ritenuta insostenibile. Prima di Cellino era stato contestato Gino Corioni nonostante avesse preso Baggio e Guardiola, e lanciato Pirlo, Toni e altri. Sì, fare calcio a Brescia non è semplice e da qui un po’ di autocritica è necessaria.
tensione
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Anche ieri i tifosi si sono radunati sotto la sede e la tensione è stata alta fino a notte fonda, in attesa di notizie. Il capitano Dimitri Bisoli è stato tra i primi a rassegnarsi, scrivendo su Instagram: "Sono stati calpestati 114 anni di storia, ma il Brescia non è lui (Cellino, ndr), il Brescia siamo noi e non morirà mai". Altri compagni l’hanno seguito. Le forze dell’ordine presidiano lo store del club e il centro sportivo di Torbole Casaglia, che non è di proprietà del Brescia ma di una società di Cellino (Eleonora Immobiliare), che è azionista del club e di recente ha acquistato un palazzo in centro e avviato i lavori per un nuovo negozio. Proprietà personali quindi e non del Brescia. Questo è importante quando entrerà in scena il tribunale, essendoci un’esposizione di 9 milioni: il club potrebbe essere messo in liquidazione evitando il fallimento, anche per non danneggiare figli e parenti coinvolti con la società immobiliare. Cellino no. Lui rimane proprietario del marchio. E resta a Londra, a curarsi (come dice) e a superare questo momento. Ma Brescia non dimenticherà.