Uno slittamento alla primavera nessuno lo vede davvero all'orizzonte. Tanto che alla fine si confrontano spinte opposte per fissare la finestra a ottobre. Non necessariamente con quell'election day pure auspicato dal governo, ma comunque in tempo da un lato per riuscire a chiudere i bilanci, dall'altro per evitare la campagna elettorale sotto l'ombrellone. In attesa che si sciolgano i nodi delle candidature, la lite tra gli schieramenti, si concentra insomma sulla data delle prossime elezioni regionali, che ogni Regione può decidere da sé. La data dell'appuntamento elettorale è un cruccio che attraversa - anche al loro interno - sia la maggioranza sia l'opposizione e che, quest'ultima, punta, nello scenario ideale, a quel 4 a 1 che segnerebbe, nelle speranze, l'inizio della cavalcata verso le politiche del 2027.
Le Marche, il nuovo "Ohio" di questa tornata, potrebbero essere le prime a esprimersi se Francesco Acquaroli, meloniano in cerca del bis, dovesse confermare l'intenzione di chiamare i cittadini alle urne il secondo o il terzo weekend di settembre.
Matteo Ricci, lo sfidante che è sostenuto da una "coalizione ampia" che va dall'estrema sinistra ai centristi cattolici e riformisti (19 sigle, tra le quali si fa notare l'assenza di Azione), sta chiedendo invece che si vada a metà ottobre "come in Toscana". Lì Eugenio Giani, dopo avere stoppato il tentato blitz di Vincenzo De Luca per il "rinvio", ha già fatto sapere che convocherà le elezioni il 12 o al più tardi il 19 ottobre.
Anche lui potrebbe tornare in campo ma per il momento si limita a dire che "il bilancio da presidente è positivo", poi saranno "i partiti che in qualche modo, nella loro dialettica interna e fra di loro, nella coalizione, arrivano a maturare la designazione ufficiale". Il momento per comporre tutte le scelte, nel centrosinistra, dovrebbe arrivare "entro la metà di luglio", dicono i bene informati. Per chiudere la rosa bisogna prima chiudere l'accordo con Giuseppe Conte, e con lo stesso De Luca, per la Campania. Il candidato nell'ottica della coalizione unitaria dovrebbe andare al Movimento 5 Stelle, che punterebbe sull'ex presidente della Camera Roberto Fico, non proprio il preferito del governatore uscente. In Puglia invece, salvo sorprese, dovrebbe scendere in campo l'ex sindaco di Bari, oggi europarlamentare e recordman di preferenze Antonio De Caro. Mentre il Veneto a tentare la sorte dovrebbe esserci il già sindaco di Treviso dem Giovanni Manildo. Proprio il Veneto resta la vera spina nel fianco del centrodestra. La partita è legata a doppio filo al destino di Luca Zaia, che guida ininterrottamente la Regione da 15 anni.
Sul suo futuro si rincorrono ipotesi e retroscena, dalla corsa come nuovo sindaco di Venezia la prossima primavera alla presidenza di una grande partecipata pubblica. Ma nel tam tam c'è chi guarda a un seggio in Parlamento, visto che i nomi in pole tra quelli che circolano per raccogliere l'eredità del "doge" sono per lo più parlamentari, tutti eletti in collegi uninominali. Lo è Alberto Stefani, il vice di Matteo Salvini su cui punta la Liga Veneta (che preferirebbe votare a ottobre anziché a novembre e che è pronta a correre da sola se la candidatura non dovesse essere di nuovo leghista), e lo sono pure i senatori di Fdi Luca De Carlo e Raffaele Speranzon. Se la scelta cadesse su uno di loro scatterebbero le elezioni suppletive. Ma Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Salvini, quei "leader" che tutti invocano, ancora non si sono seduti al tavolo per dirimere la questione.
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