Il centrocampista del Bologna a Trento: "Dicevano che ero andato in America perché ero finito, invece rieccomi qua. Italia, abbiamo vinto un Europeo, ma dei successi ci si scorda in fretta..."
Federico Bernardeschi, il calciatore-social che usa espressioni come “surfare sulle esperienze”, va in scena al Festival di Trento e sa come intrattenere la platea. Quando gli chiedono, ad esempio, perché abbia scelto il Bologna, fa riferimento alla precedente avventura a Toronto, agita il dito in modo provocatorio e dice: “Qualcuno pensava che fossi andato in Canada perché a fine carriera. Invece sono tornato…”. Federico non nasconde i rischi di dimostrare personalità, come quando volle la maglia numero 10 a Firenze, nello stupore generale perché era un ragazzino e Paulo Sousa, allora in panchina, gli disse: “Se hai avuto il coraggio di chiedere la 10, lo avrai per indossarla”. Avrà il fegato di domandarla pure a Torino, incassando un no che, dice oggi, “fu un modo per proteggermi”. Pescò quindi la 33 “per motivi religiosi”.
Rigore
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C’è il Bernardeschi calciatore, che ammette di capire “la sensazione di tradimento vissuta dai tifosi viola quando andai alla Juve, ma i professionisti devono sfruttare le occasioni” e che mima sul palco la passeggiata con il pallone in mano prima del rigore nella finale degli Europei 2020: “Cercavo di fermare le emozioni, sono momenti in cui vorresti restare sereno ma non ci riesci, anche se di rigori ne hai tirati tanti. Poi, pallone in terra, ho ritrovato lucidità. Il segreto di quel successo è stato il gruppo, peccato che tutto si sia interrotto non andando ai Mondiali. Ci si dimentica però in fretta delle vittorie…”.
Gonna
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Ma a Trento si presenta anche Federico personaggio pubblico, come quello della gonna indossata senza paura: “Mi definisco controcorrente? No, per me è fondamentale la libertà individuale. Se ho messo la gonna è perché ci credevo: ci si deve esprimere anche fuori dai luoghi comuni. Poi, magari, serve del tempo per capire”. E poi ci sono le relazioni personali al di là del ruolo in campo e qui due sono quelle che colpiscono nelle sue parole: quella con Davide Astori (“Un punto di riferimento, ogni mattina mi dava uno scappellotto perché diceva che prima o poi me lo sarei meritato”) e quella con Federico Chiesa, “talento vero che gioca con uno zaino di 30 chili sulle spalle per via del padre”. E CR7? “Campione di dedizione ma la gente non immagina l’umiltà dietro la fama”.
Selfie
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Tra un omaggio (“Gli allenatori che mi hanno fatto crescere di più? Paulo Sousa, Mancini e Allegri”) e una ammissione (“Problemi alla Juve con Pirlo? No, ero io non al meglio”), c’è spazio anche per un appello ai giocatori del Fantacalcio: “Non prendetevela con noi se non facciamo gol. Ci proviamo sempre, non è facile riuscirci…”. E vai di selfie con il pubblico.