Belinelli: "Sarò egoista, ma spero che nessun altro italiano vinca la Nba. Mi sono sentito MJ"

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Il cestista che la scorsa estate si è ritirato a 39 anni si rivela a Trento: "In quel 2013-14 con San Antonio si è vista la miglior versione di me. Tutto cominciò con quei 25 punti segnati agli Usa durante quel Mondiale in Giappone..."

Dal nostro inviato Davide Chinellato

11 ottobre - 15:50 - TRENTO

Da Bologna a Bologna. Passando per un'indimenticabile partita in Nazionale in Giappone contro gli Usa, per 13 anni in Nba "non sventolando gli asciugamani ma facendo 20 punti a partita", come racconta il suo nuovo collega Matteo Soragna, e poi di nuovo a Bologna, con due scudetti e un mvp vinto a 38 anni, prima di un'ultima stagione sollevando il tricolore da capitano. Si racconta, Marco Belinelli, si mette a nudo al Festival dello Sport dal palco dell'Auditorium Santa Chiara, con tanti giovani ad ascoltarlo e a cercare di capire come si fa a diventare l'unico italiano ad aver vinto l'anello Nba. "Sarò egoista, ma spero non lo vinca più nessuno e di rimanere l'unico" racconta con un sorriso Beli, che in estate ha deciso di dire basta a 39 anni. 

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Il racconto parte da un indimenticabile Italia-Usa del Mondiale 2006 in Giappone, la partita che ha messo Belinelli sulla mappa degli scout Nba, dove arrivò l'anno dopo. "Ero giovane, cercai di entrare in quella squadra che aveva vinto in punta dei piedi - racconta Marco -. Avevo già il sogno di andare in Nba, sapevo che quella doveva essere la partita, non volevo fare zero o pochi punti perché poi sarebbe stato complicato. Avevo paura". In campo quella paura si è trasformata in 25 punti e in una prestazione da 8,5 in pagella fatta "contro la difesa che giocava davvero su di lui" racconta Soragna, che poi svela di come abbia cercato di far capire a Belinelli, allora alla prima esperienza in Nazionale a 20 anni, l'importanza di allenamenti e routine come la colazione. "Ma è bello che dica che aveva paura - rilancia Soragna -. Non c'è niente di sbagliato in questo". 

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Il racconto dei 13 anni in Nba parte dalla notte del Draft. "Quando capisco che Golden State sta per chiamarmi, mi sono girato verso Martina, la mia ragazza che adesso è mia moglie, e le ho chiesto dov'era San Francisco" ha detto Beli con un sorriso. Non è stato il primo passo di una cavalcata, ma l'inizio di un percorso difficile fatto all'inizio di tante delusioni, "anche perché lui è andato in Nba per giocare da guardia, probabilmente il ruolo più difficile" sottolinea Soragna. Beli racconta di New Orleans ("È lì che per la prima volta mi sono sentito un giocatore Nba, mi sono sentito voluto grazie a coach Monty Williams e a Chris Paul"), di Chicago ("Volevo fare un ulteriore passo avanti, giocare per una squadra di nome sicura di fare i playoff") e poi del titolo con San Antonio. "In quel 2013-14 si è vista la miglior versione di me - spiega -. Ricordo il primo giorno a San Antonio: loro venivano dalle Finals perse a gara-7 a Miami, io ero l'unico giocatore nuovo e abbiamo passato due ore a rivedere quella partita. Lì ho capito quanto facevano sul serio. Ho incontrato Gregg Popovich, un allenatore fantastico che mi ha insegnato tanto anche dal punto di vista umano, Manu Ginobili, con cui mi ero allenato da ragazzino alla Virtus, Tim Duncan e una squadra fantastica. Del titolo che abbiamo vinto, il ricordo più bello che ho è lo spogliatoio, il discorso di Pop e poi la festa con i miei compagni e con i miei familiari. Sono cose che pensavo possibili solo nelle videocassette di Michael Jordan e dei suoi Bulls che vedevo da bambino, ma adesso le stavo vivendo in prima persona". 

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Belinelli in Nba si è guadagnato il rispetto di tanti campioni con cui ha giocato. Uno è Kobe Bryant, che per lui ha sempre speso parole di elogio. “È stato uno dei miei idoli e ricordo ancora quando ci ho giocato contro la prima volta: è venuto da me e mi ha salutato in italiano. Il solo fatto che sapesse il mio nome, per me valeva tutto. Che abbia avuto quell’opinione di me, fa sempre piacere”. Poi ricorda la visita alla Casa Bianca dopo l’anello con gli Spurs, con Barack Obama che dice quanto ai suoi Bulls mancasse uno come Marco. “Un momento incredibile”. 

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Belinelli è tornato in Italia nel 2020, scegliendo la Virtus in cui aveva cominciato. “La trattativa è stata facile, ma la cosa più bella è stata vincere lo scudetto 6 mesi dopo”. È stato il primo di 4 anni e mezzo da protagonista assoluto, in cui l’unico italiano ad aver vinto l’anello Nba ha continuato a fare la differenza, con l’mvp vinto a 38 anni e lo scudetto alzato prima di smettere. “Ho deciso di chiudere adesso perché volevo che la gente si ricordasse di me come giocatore, come sono sempre stato da quando prima di andare in Nba fino all’ultima partita. Sono fatto così, voglio che sia questo il mio lascito”. Lui sarà anche pronto a voltare pagina, ma la gente che si accalca sotto il palco per chiedergli autografi e selfie non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare.

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