Il nuovo allenatore azzurro di basket: "Dalla prima squadra alle giovanili, la mia Italia parlerà un unico linguaggio"
Quel poster nella cameretta non era un segno magari, ma un’aspirazione sicuramente. No, non quello di Julius Erving, l’altro: una partita della Nazionale, la finale per il bronzo di Monaco ‘72, con Meneghin e Bariviera a contendere un rimbalzo a un giocatore di Cuba. Di quella Nazionale oggi Luca Banchi è l’allenatore, pronto a scendere per la prima volta in palestra per il mini raduno a Roma che apre il suo mandato triennale, cinque decenni di distanza dalla nascita di quella passione in scia al fratello e alla sorella più grandi che giocavano a basket, seppure in un territorio non di basket, semmai di baseball e di hockey pista, come Grosseto. In mezzo gli anni a Montecatini con la famiglia, il passaggio dal campo alla panchina grazie all’intuizione di un professore del liceo, la prima volta fuori casa nello staff delle Forze Armate su segnalazione di Sergio Scariolo che era stato suo istruttore in un corso tecnico. Poi, con un’iscrizione a Giurisprudenza a Siena superata di slancio dal basket, quando era all’Affrico Firenze la chiamata di Massimo Faraoni al Don Bosco Livorno, con tre scudettini e l’arrivo alla panchina di prima squadra in A2.
“Quell’incontro è uno dei grandi punti di svolta della vita e della carriera”, ricorda oggi Banchi. “Se devo sceglierne tre, gli altri due sono l’esperienza senese, sette anni di scudetti, coppe Italia, Final four di Eurolega, nati rinunciando a un posto da capo a Jesi per andare a fare l’assistente e lavorare in un ambiente con una visione e persone destinate ad avere successo. E poi la chiamata della nazionale lettone, i quattro anni più coinvolgenti della mia carriera, un miracolo sportivo arrivato al quinto posto al Mondiale e a un tiro dall’Olimpiade. E da cui sono nati la chiamata della Virtus, per tornare in Italia, e ora quella della Nazionale”. Il percorso di Banchi è passato attraverso sette paesi, la scelta di andare a Pesaro e Strasburgo quando erano ultime in classifica, alla Virtus a una settimana dalla Supercoppa, in G-League nella bolla di Orlando in piena era Covid, di invece di aspettarsi comode panchine di Eurolega: “Sono stato selettivo, ma i miei criteri sono usciti da quelli omologabili”. Serve questo per capire Banchi quando dice: "La mia carriera dimostra che non mi ha mai spaventato navigare in acque turbolente".
Con 50 giocatori tra Eurolega, Nba, colleghe e high school, quando sarà schierata nella sua miglior versione questa generazione è destinata a competere per i massimi risultati
Luca Banchic.t. Italbasket
Quali acque trova in Nazionale?
"Undici dodicesimi della squadra dell’Europeo non sarà eleggibile per via delle “finestre”, e per la prima partita di qualificazione avremo solo due allenamenti per costruire un sistema. Prendo la Nazionale in un momento in cui non è semplice costruire un’identità, abbiamo 50 giocatori in America tra Nba, college e high school, più chi è in Eurolega. Ma vedo una generazione che ha un grandissimo futuro: non è assurdo pensare che, quando potrà essere nella sua miglior versione, questa generazione sia destinata a competere per i massimi risultati, con me o in un altro ciclo. Se dal 2004 non centriamo medaglie non significa che non sia stato fatto un buon lavoro, ognuno ha cercato di portare la Nazionale al livello più alto possibile: la speranza che l’Italia torni a celebrare un successo è la consapevolezza che sarà anche frutto del lavoro e dello sforzo di chi non ci è riuscito. Ho parlato a lungo con Gallinari, la sua esperienza è una risorsa”.
Per la Nazionale?
“Sicuramente per me, non si può prescindere da rubare qualcosa a figure iconiche come lui, Datome, Belinelli, a quella generazione che può trasmettere emozioni che nessun altro è in grado di replicare. Una risorsa per me e spero anche per i ragazzi, per far percepire attraverso l’esperienza di queste figure iconiche cos’è la Nazionale”.
L'eredità di Pozzecco? Ha trasmesso a tutto l'ambiente un forte senso di appartenenza. E io non sarò mai empatico come lui
Come lavorerete sugli “americani”?
"Vogliamo farli sentire parte integrante del movimento anche se in inverno non potranno partecipare al nostro lavoro, col monitoraggio di Ricky Fois, assistente dei Knicks, già riferimento sui potenziali naturalizzabili, e ora anche con Filippo Messina, che è a Duke, e si occuperà di scouting. Come dicono gli All Blacks, si lavora affinché il prossimo allenatore trovi la maglia in spogliatoio in una posizione anche migliore di come l’abbiamo trovata noi".
Come ha trovato la maglia lasciata da Pozzecco?
"Ho trovato un ambiente con uno spiccato senso di appartenenza e desiderio di partecipazione, caratterizzato dall’empatia di Gianmarco. E’ stato gentilissimo nelle parole che mi ha detto, così come mi ha fatto piacere ricevere i messaggi di chi c’è stato prima. da Recalcati a Pianigiani, Sacchetti o un grandissimo giocatore come Marzorati: ho percepito la portata di questo ruolo quando ho ricevuto il suo messaggio sul telefono. Ho scoperto, dalle parole di Gianmarco e poi di persona, la passione che abita ogni singolo dipendente della Federazione. Ho figure di riferimento come Datome e Trainotti che hanno fatto un lavoro straordinario, e ho trovato nel presidente Petrucci un entusiasmo che ti travolge, con cui ribadisce ogni volta il suo livello di aspettative dal primo messaggio o chiamata del giorno: un dirigente lungimirante e ambizioso è normale che parli anche di grandi traguardi, chi ha il dna vincente stimola chi è accanto a dare il meglio".

Su chi si riparte del gruppo di Pozzecco?
"Sulle scelte peserà la ricerca del giusto mix tra chi sta performando bene, chi ha l’età in cui la Nazionale fa parte della propria affermazione e chi con la sua esperienza potrà guidare il gruppo a capire le richieste dello staff e trasformarle sul campo".
Come si gestisce una Nazionale a due velocità, con bacini di giocatori differenti tra l’attività invernale e quella estiva?
"Mantenere la struttura invernale o meno quando arrivano i top player è sempre un dilemma, ci sono già passato per quattro anni con la Lettonia dove nel periodo senza giocatori Nba o di Eurolega abbiamo costruito gran parte della nostra serie da 21 vittorie in 22 partite. Le norme che voglio installare servono per dare riferimenti e un canovaccio che prescinde dai protagonisti sul campo, per uno stile che comunque resta fluido per adattarsi alle caratteristiche di chi è disponibile. Con Sodini e Nocera, i tecnici federali che si occupano dei progetti legati all'Academy e al reclutamento sul territorio, ho condiviso linee guida che vogliamo declinare su tutte le squadre".
Di che cosa si tratta?
"Un decalogo con cinque concetti difensivi e cinque offensivi, legati all’aggressività difensiva, concetti di difesa sulla palla o meno, collaborazioni offensive, aggressività a rimbalzo. Un linguaggio comune che naturalmente ha evoluzioni diverse tra l’Under 15 e la Nazionale A. Ma è per dare l’idea di uno stile di gioco italiano, un filo che unisce il movimento in maniera coerente, anche per i ragazzi che passano da una nazionale all’altra".
E' giusto che i ragazzi scelgano le migliori opportunità per la loro crescita. Se è all'estero li seguiremo, ma non significa che in Italia non sappiamo valorizzare i giovani
Quale percorso per i ragazzi delle medaglie estive con Under 20 e Under 18 attesi in prima squadra?
"La loro crescita e formazione passa prevalentemente dalle scelte dei club disposti a investire su questi ragazzi e dalle energie che dedicheranno gli allenatori per mettere le loro capacità e conoscenze nello sviluppo di questi giocatori ancora in età evolutiva. Si dice che in Italia manchi un pezzo tra l’attività giovanile e le prime squadre, un’attività intermedia che dovremo essere tutti capaci di saper costruire e di cui i mini raduni che iniziamo a fare sono una testimonianza. Per far toccare ai ragazzi l’ambiente della Nazionale, l’emozione di mettersi alla prova in azzurro e lo stimolo a meritarselo permanentemente. E perché possano trasferire il loro entusiasmo quando tornano nei club, una gratificazione per quelli che investono tempo, risorse, capacità e conoscenze nei ragazzi".
Giocano troppo poco gli italiani in Serie A?
"Non sono un paladino di questo pensiero. Ognuno ha il suo percorso, non credo alle fughe di talenti perché in Italia non sappiamo valorizzarli, credo a un mercato globale in cui i ragazzi valutano il contesto ideale per la loro valorizzazione. Il percorso di Ellis, Niang e Diouf dice che anche in Italia c’è modo per affermarsi. Se qualcuno vede la piattaforma ideale all’estero, come Nazionale siamo qui a sostenerne le scelte e da ct continuerò a seguirli e monitorarli, senza che sia un pretesto per dire che scappano dall’Italia perché non hanno opportunità".