Durante la March Madness del 2018 conquistò il mondo come cappellana e tifosa di Loyola. Figura amatissima e simbolo del college basket, ha dedicato la vita agli studenti tra fede, sport e umanità
L’ha ricordata anche Barack Obama con un tweet commosso: "La March Madness non sarà la stessa senza Sister Jean. Penso alla comunità della Loyola University di Chicago e a tutti coloro che hanno amato questa donna straordinaria". Sister Jean Dolores Schmidt, la suora simbolo di Loyola University, una scuola cattolica di Chicago, è morta a 106 anni. Divenne famosa durante March Madness del 2018, quando la squadra raggiunse le Final Four per la prima volta dalla vittoria del 1963: una di quelle storie che rendono la March Madness, cioè la seguitissima kermesse finale del torneo universitario, un momento unico, anche per chi vive lontano dal mondo del college basket. Ma la vera storia, quella che travalicò i confini dello sport, fu proprio la sua: cappellana dei Ramblers, presenza costante a bordocampo e cuore pulsante di quella squadra e comunità. All’epoca aveva già 98 anni. Le sue immagini fecero il giro del mondo: seduta sulla sedia a rotelle, con la sciarpa e la giacca granata e oro dell’università, le Nike personalizzate con scritto “Sister” su una scarpa e “Jean” sull’altra — un regalo dei giocatori — e un sorriso diventato simbolo di fede, passione e appartenenza.
l'amore per il basket
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Sister Jean la pallacanestro la capiva davvero, tanto da inviare report tecnici allo staff con osservazioni su avversari, punti di forza e debolezze. Scout informale, consigliera, incarnava lo spirito di Loyola come nessun altro. Calzini, magliette, statuette e gadget da collezione con la sua immagine venivano venduti online, trasformandola in un’icona della cultura sportiva americana. Neanche il Covid fermò la sua voglia di esserci. Vaccinata e con la mascherina, nel 2021 tornò alla March Madness. Nella preghiera pre-partita infilò anche qualche consiglio tecnico, prima che la squadra sfidasse Ilinois, seed numero 1, per arrivare alle Sweet 16: “Abbiamo una grande opportunità di convertire rimbalzi — disse — perché questa squadra segna circa il 50% dei layup e il 30% dei tiri da tre. La nostra difesa può occuparsene.” Loyola vinse quella partita.
lo sport
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Nata a San Francisco nel 1919, Sister Jean sentì presto la vocazione religiosa e si unì all’ordine delle Sisters of Charity of the Blessed Virgin Mary. Dopo i primi anni da insegnante nelle scuole cattoliche elementari di Chicago e Los Angeles, negli anni Sessanta approdò al Mundelein College, affacciato sul lago Michigan. Da bambina giocava a football con i fratelli, ma nonostante non fosse alta, lei si vedeva dentro un campo da basket. Lo sport l’ha accompagnata per tutta la vita da insegnante: dalle scuole elementari fino al college, sempre accanto agli atleti. Ha allenato squadre di basket, pallavolo, softball, atletica, persino ping pong e… yo-yo. Quando nel 1991 l’istituto divenne parte della Loyola University, fu incaricata di assistere gli studenti nella fase di transizione. Poi, nel 1994, quando doveva andare in pensione, all’età di 75 anni, l’allora preside dell’università ebbe un’intuizione migliore: le chiese di restare per aiutare i giocatori di basket a migliorare i risultati scolastici. Lei accettò con entusiasmo, si definiva “booster shooter”, e poco dopo venne nominata cappellana della squadra maschile. Seguiva la squadra da sempre, e quel ruolo, avrebbe poi scritto nella sua autobiografia, divenne “l’esperienza più trasformativa e trascendente” della sua vita.
eredità
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Legacy, eredità. Un termine forse abusato oggi, ma non nel suo caso. L’impronta che Sister Jean ha lasciato va ben oltre il parquet del suo amato campus di Chicago. La sua presenza nella vita degli studenti era calore umano, energia e ascolto. Ha dedicato l’intera esistenza a ispirare e sostenere i giovani che in lei trovavano sempre un riferimento pieno di vita ed energico. Univa le persone, come nel progetto SMILE, nato per mettere in contatto studenti e anziani della casa di riposo dove viveva. Tutti gli studenti, cattolici o no, amavano trascorrere tempo con lei, che restituiva a ognuno speranza e gioia.